sabato 22 dicembre 2007

bianco, Russo e Berluscone

Per carità, siamo uomini e donne di mondo. Sappiamo come vanno le cose, mica veniamo dalla montagna del sapone. Però la telefonata più famosa degli ultimi giorni – quella tra Berllusconi e Saccà- non può lasciare indifferenti.
Ispirato dalla piaggeria di Saccà, la finta modestia del Silvio, la sua sufficienza nel rispondere alle lusinghe del direttore di Rai Fiction, le accuse di deficienza mandate a destra e manca, Federico Barbarossa e suo cugino Umberto Bossi, la “operazione libertà” per comprare senatori e far cadere il governo, sono andato a vedere i siti delle due attrici raccomandate da quel vecchio provolone di Silvio al fido scudiero. Quello di Elena Russo ti accoglie con una musichetta terribile che riproduce “Tu si’ na cosa grande pe me” in versione midi, tipo karaoke, con foto come questa (delicatissima direbbe Christian De Sica) e un frase che recita testualmente: “Nella vita di un attore è importante come cresci, così ti formi! Scambi UMANI e professionali concorrono a formare un bagaglio”. E ho capito due cose: che il bagaglio di Elena è evidentemente grande; e che il sito glielo ha pensato e scritto Checco Zalone (o Mariano Apicella)

venerdì 21 dicembre 2007

Natale per sempre

Appena arrivato in Sicilia per trascorrere le vacanze di Natale con famiglia e amici. Vi terrò informati sull'evoluzione sferica della mia panza. Mi sono messo davanti al computer e mi sono detto che mi toccava scrivere il rituale post sul Natale. Solo che non mi va proprio di scrivere la solita cagata sulla magia del Natale (gingombél), e meno che mai la ancor peggiore cagata sul consumismo e la fretta e lo stress (blablablà).
Dunque, spremendo le meningi sulla parola "Natale", mi è apparso appunto davanti agli occhi Natale. Però, un altro Natale, il protagonista del film Mery per sempre.
Il film di Marco Risi (1989) è un cult per i siciliani della mia generazione, e forse non solo per noi isolani. Parla di un professore del nord che va a insegnare nel carcere minorile di Palermo e si confronta con la terribbbile realtà sottosviluppata e mafiosa dei ragazzi carcerati.
Il film è fonte di battute e citazioni epiche, come le seguenti:

"La mafia è bene, la mafia è giusta" (Natale)
"Un ci 'a rugnu a manu a li sbirri" (Pietro)
"Io non sono né carne né pesce... io sono Mery, Mery per sempre" (inutile dirlo)

Cosa c'entra col Natale? Beh, a parte il nome del protagonista, volendo anche il titolo del film potrebbe rimandare all'eternità della Vergine. E poi, come il testo bliblico, Mery per sempre abbonda di violenza, peccato, espiazione. Nonché di sfighe e maledizioni: un numero di attori del film, che adesso non ricordo, in seguito morì o finì in carcere, tanto da far parlare della maledizione di Mery per sempre. Non manca la maddalena, seppur con tacchi a spillo e peli sul petto. C'è pure la figura del messia (il professore) volontariamente venuto dall'alto (il nord) per salvare i peccatori (i carcerati).
E se ancora non vi avessi convinto, come nel sacro testo cristano, c'è l'aspetto profetico.
Troviamo tutto il rapporto utilitaristico e primo di emotività dei giovani di oggi col sesso - svelato vent'anni prima dei video porno sui telefonini - nell'aria di normalità con cui Pietro spiega al professore cosa ha fatto all'assistente sociale shoccata:

"Nenti... ci tuccavu u sticchiu"

...Ed è subito cult.

l'abito, il monaco, la rivoluzione


Il giorno stesso in cui ho firmato la lettera di stage è cambiato qualcosa.
Quel giorno sono arrivato nella sede della bradipo-società vestito come al matrimonio di mio fratello: giacca nera, camicia bianca, cravatta rosso fuoco (piuttosto appariscente), scarpe con tacco rumoroso. Ad un certo punto, Catia (giovane co-masterizzatrice e co-stageur) mi intima di togliere il piercing dall’orecchio, dicendo “ma sei matto?! Togliti subito quel coso dall’orecchio!”.
All’inizio, da bravo bradipo progressista, vivevo il cosiddetto dress code come una costrizione, di cui liberarsi non appena possibile. Cosa sono –mi dicevo- queste formalità inutili, questi orpelli borghesi per mascherare spesso il vuoto?
Poi mi sono reso conto che quegli abiti, ancorchè arraffazzonati e sgualciti, stavano diventando una vera e propria divisa, dentro la quale sentirsi più sicuri, più a proprio agio. Una volta, mentre facevo la fila in una Asl della periferia della metropoli, due vecchiette volevano farmi passare avanti, incredibilmente messe in soggezione da una cravatta dell’Oviesse (9,90 €). Si può pensarla così? Non saprei. Se mi fermo a pensare mi rispondo che è una stronzata, che sono distorsioni della realtà.
Poi mi sorprendo a guardare alcune vetrine, con l’intento di emulare gli esseri che mi circondano: vestito grigio antracite, camicia (preferibilmente) bianca, cravatta blu magari a righe, scarpe nere con taglio alla francese. Loro sono state le ultime. Non mi sentivo abbastanza bradipo-consulente senza le scarpe à la francais. Ce le hanno tutti, potevo essere da meno?
Le ho comprate. Non le più care, ma le ho comprate. E quando sono andato in ufficio ero soddisfatto, anche se per colpa loro avevo delle stimmate ai piedi e visioni mistiche, tipo arcangelo gabriele. Unica concessione eccentrica: i calzini a righe, però intonati a camicia e/o cravatta.
È tutto molto decadente ma sono sincero.

P.S. (per i lettori più affezionati) è solo un camuffamento. Quando Berlinguer apparirà in televisione – come profetico diceva Cioni Mario- mi farò trovare pronto per la rivoluzione.

sabato 15 dicembre 2007

Proust e i mattoncini

Quell’odore che riconosceresti fra mille si univa ai rintocchi del pendolo. E lei con il suo passo svelto, deciso ma tenero, con quelle ciabattine con la parte posteriore ripiegata in avanti, “percè su cchiù comote”, t’infilava furtivamente nella mano sinistra delle banconote che con un gesto repentino e insospettabile apparivano talvolta dalla manica sgualcita dove conservava il suo fazzoletto, dalle tasche ormai consumate del damantile o più semplicemente dagli strati di maglie che si poggiavano sul suo petto. La frase di rito era la stessa per tutti: “quisti cu te ba catti nu gelatu” anche se eravamo in pieno inverno e con due pinguini attaccati alle caviglie. E poi quel gelato io me lo prendevo veramente! “Ce te possu dare beddhra mia?” incalzava…rifletteva…ed io trepidante aspettavo l’uscita di quella ciotolina, sempre la stessa, nella stessa credenza. Intravedo la carta dorata, metallizzata, che si rifletteva nei suoi occhi ormai stanchi. La mano sprofondava in quei piccoli mattoncini di cioccolata al latte o fondente, quelli inconfondili con la cupoletta e della misura giusta perché si sciogliessero fra il palato e la lingua. E andavi via con le tasche piene fino all’arrivo a casa, quando la mamma ti perquisiva stile servizi segreti, per centellinare quei deliziosi mattoncini in interminabili mesi. C’erano giorni invece che con amarezza quel luccichio di carte riflesso nei suoi occhi diventava diabolico, rossastro, lo avevo imparato a mie spese; i mattoncini si erano trasformati in cupolette più alte con all’interno ciliegina e liquore, di cioccolato fondente, rivestiti di rosso intenso. Li riponevo nella tasca ma solo per il principio secondo cui “ nu se lassa mai nienzi” e fra lo sguardo stupito della mamma -e anche un po’ deluso per non potermi ispezionare- li poggiavo sul tavolo dell’ingresso, bruscamente, spontaneamente. Quelli erano i cioccolatini dei grandi.
In queste occasioni in cui Lucifero s’impossessava dei suoi occhi, mi riversavo sulla ciotolina del salotto piena zeppa di caramelle alcune gialle, con un cuore dolcissimo di miele: le fantastiche caramelle ambrosoli; le seconde rosse con una forma rettangolare, le Rossana, buone ma soprattutto utili per giocare alla vista bionica, salvo poi ritrovarmi vicino lo specchio con un bozzo nella guancia destra e rudimentali occhiali con lenti rossastre.
Ed ancora tutto questo è nitido, come se fossi lì davanti a lei e lo è ogni volta che assaggio una di queste prelibatezze. Proust alla fine non ha detto nulla di nuovo. Questo Natale farò la scorta, certi momenti non si rivivono più o forse si possono rivivere all’infinito (fino a fine produzione, ovviamente).

lucyinthesky (lucì-dans-le-ciel)

venerdì 14 dicembre 2007

Xmas Party


È strano alzarsi la mattina dopo il Christmas Party. A parte la faccia mostruosa, gli occhi rossi, e la voglia di trapassare piuttosto che andare a lavorare, una volta arrivati in metropolitana (faticosamente raggiunta spingendo le vecchiette sulle scale) si prova una sensazione di spaesamento, di confusione.
Riaffiorano i ricordi della sera prima, fatti di sorrisi, battute, goliardiche passeggiate e panini notturni. Se sei la penultima ruota del carro, però, a un certo punto ti rendi conto che quelli che la sera prima ti sembravano suppergiù degli amici, sono le stesse persone che ti giudicano, ti fanno tirar tardi, ti mettono ansia. Insomma, sono i tuoi bradipo-tiranni, ansiosi e numerosi come i livelli che ti mancano per diventare amministratore delegato. Non li ho mai contati, ma confido veltronianamente in JFK che diceva “Un lungo cammino inizia sempre con un piccolo passo”. O forse era Mao Zedong? Bah, dev’essere ancora l’effetto del vino…
Insomma, queste feste magari le conoscete: gente in giacca e cravatta, donne in balconcino (anche qualora ben dotate) e quella inestirpabile sensazione di competizione che aleggia anche quando si scherza. Forse è una mia paranoia.
Non è (solo) un problema di persone –evidentemente, c’è chi è più o meno competitivo, la lista sarebbe variegata- ma è una mano invisibile che guida verso questa direzione.

martedì 11 dicembre 2007

Un Parapendio di cazzate!


La stessa sera in cui io e Brad siamo andati a vedere Zingaretti che recitava, con noi c'era l'amico Giulio. Tra una chiacchera e l'altra, sfodera - come se si trattasse di un'informazione da poco - che il fine settimana precedente è stato a fare parapendio (una specie di deltaplano) con Adriano Pappalardo. Proprio così! E' arrivato nel punto di lancio e si è trovato per caso il cantante pronto per volare. Sono partiti insieme, mentre Giulio cantava non senza vergogna "Ricominciaaaaamo" nel blu dipinto di blu, e - meraviglia delle meraviglie - sono atterrati insieme in uno sperduto campo di grano. La situazione, assolutamente surreale, supera per folle ilarità i migliori pezzi di Maurizio Milani. Dunque, per emulazione, elenco di sotto alcuni miei ricordi del passato, a cui il lettore non è costretto a credere fino in fondo.

- Tempo fa, a un funerale di una mia vecchia zia, ho incontrato Larry Mullen Jr., il batterista degli U2. Mi sono avvicinato e ho scoperto che aveva conosciutio mia zia un'estate dell'84 in un campeggio di Maratea. Mi ha detto che non piangeva così dal funerale del cantante degli Inxs, di cui al momento ci sfuggiva il nome a tutti e due.

- Ero al concerto dei Tokio Hotel con un gruppo di amici. A un certo punto, mi passano una canna, faccio due tiri e la faccio girare al tizio che avevo a destra. Era Giorgio Napolitano. Prima che aprissi bocca, mi ha detto: "Ti prego non parliamo di politica proprio ora che stanno attaccando con Istant Karma, che è il mio pezzo preferito".

- Sono entrato da un barbiere sull'Appia Antica che mi avevano consigliato perché costa poco. Non c'era nessuno e mi sono accomodato. Solo verso la fine del taglio, mi sono accorto che il barbiere era Marco Predolin. Gli faccio: "Ma cosa ci fai qui, tu che hai fatto la storia della televisione commerciale italiana?". Mi ha risposto: "Arrotondo, perché mi devo comprare l'IPod da 60 giga con lo schermo grande", che è una risposta più che dignitosa. Ho pagato e ho salutato. 12 euro per taglio e shampoo, mica male. Certo, Predolin, la prossima volta la ricevuta puoi anche farmela.

- Lo scorso marzo, io e un paio di amici, ci siamo persi nella foresta più grossa del Nicaragua. Nessuno ne parla mai, ma posso giurare che il Nicaragua ci ha delle foreste tra le più grosse del mondo. Dopo due giorni di girare a vuoto, troviamo una capanna di fango e paglia in mezzo alle mangrovie. Entriamo con circospezione, e troviamo Licia Colò che si sta truccando per andare a una festa dai vicini. Gli faccio: "Ma scusa, ma se non c'è un'essere umano per centinaia di chilometri!". Mi ha risposto: "Infatti, la festa è tra un mese". E Licia Colò non è un tipo che improvvisa. (Omaggio a M. M.)

PS: Oh voi che leggete, postate i racconti più assurdi dei vostri amici megalomani... quelli che cominciano con "Giuro, non è una cazzata...", ma evidentemente lo è.


venerdì 7 dicembre 2007

Commissari, anarchici e alieni


"Abbiamo lottato cent'anni per migliorare la vita di un lavoratore di un quarto d'ora... e poi lo uccidiamo?" (Pietro Ingrao)


Ieri sera, me and Brad, siamo andati con spirito governativo e unitario a vedere uno spettacolo all'Auditorium di Renzo Piano. Si trattava di " “Passa una vela… spingendo la notte più in là”, una lettura di Luca Zingaretti tratta dal recente libro del giornalista Mario Calabresi, sul tema del dolore dei parenti delle vittime del terrorismo, e in particolare del suo nei confronti del padre, il commissario Calabresi, ucciso nel 1972. Lo spettacolo è stato utile. Per una volta, mi si conceda mettere al primo posto la parola "utile", rispetto a "Bello". Perchè è servito a mettere una toppa su uno strappo lungo 35 anni. Quello che mi ha colpito di più è sapere che Luigi Calabresi e Giuseppe Pinelli, l'anarchico precipitato dalla finestra del commissariato di Calabresi durante un lungo interrogatorio (nel '69), non fossero due estranei. Durante un Natale, Pinelli aveva regalato l'Antologia di Spoon River a Calabresi, e Marco Pannella giurò di aver passeggiato insieme ai due qualche anno prima della tragedia. Se c'è una cosa dolorosa e inaccettabile nella violenza del terrorismo e delle bombe di stato di quegli anni, è proprio questa: che allontanò e rese aliene persone che aliene non erano. Vite che, pur non abbandonando il proprio ruolo (Calabresi era un commissario, Pinelli un anarchico), facevano parte dello stesso mondo. Forse quegli scoppi, quegli spari, stanno alla base della frattura che divide l'Italia. Un'immaginaria linea di confine, arzigogolata e impossibile, che passa in mezzo a paesi, quartieri, amicizie, famiglie, e persino dentro i nostri stessi cuori, e che ci rende impossibile essere avversari dentro la stessa partita.

giovedì 6 dicembre 2007

fabbrica di morte

Nel 2007 si muore ancora in fabbrica. All’alba Antonio Schiavone, 36 anni di Cuneo, è morto per un incendio in una fabbrica siderurgica di Torino. Lascia una moglie e tre figli, l’ultimo di pochi mesi. Altri sei operai sono in condizioni gravissime. Pare che le condizioni di sicurezza non fossero adeguate. Non so cosa aggiungere ma tutto questo mi sembra ingiusto e cattivo. Tutte le volte che ci lamentiamo del nostro lavoro dovremmo fermarci.

mercoledì 5 dicembre 2007

Super-Faust?


In questo blog si parla solo incidentalemente di politica. Ma a volte resto confuso di fronte ad alcune dichiarazioni.
Spiegatemi, per esempio, perchè il presidente della Camera dei Deputati dovrebbe intervenire così pesantemente contro il governo. Su, spiegatemelo! Penso che neanche l'amico operaista Cipputi stavolta riuscirà a spiegarselo.
Non entro nel merito delle argomentazioni, che potrebbero avere un loro fondamento e hanno sicuramente legittimità. Ma mi chiedo perchè le stesse parole non poteva pronunciarle il segretario di Rifondazione piuttosto che il suo leader carismatico.
Neanche Casini ha fatto qualcosa del genere, perchè Bertinotti (nella foto durante un importante appuntamento istituzionale) ha sentito l'esigenza di rompere la prassi di garanzia per cui il presidente di uno dei due rami del Parlamento (terza carica dello stato, dopo Napolitano e Donadoni) non esprime direttamente opinioni così devastanti nei confronti del governo o di una maggioranza parlamentare. Neanche la Pivetti (mio dio, la Pivetti!) ha mai fatto nulla di così fuori luogo, a parte i foulard verdi e le croci vandeane, durante la sua presidenza.
Capisco le difficoltà di ri-collocamento politico di Rif.Com. ma non mi sembra che questa dichiarazione risolva la situazione. Tu quoque Faust!

lunedì 3 dicembre 2007

Contaminazioni in 11/8

Contaminazione
s. f. 1 il contaminare, l'essere contaminato: contaminazione radioattiva, aumento della radioattività atmosferica o al suolo causato da esplosioni nucleari, da incidenti a reattori di centrali nucleari, oppure dalla lavorazione o dall'uso di sostanze radioattive 2 in un testo, fusione di più elementi di diversa provenienza 3 (ling.) incrocio di costrutti o forme diverse che dà origine a un costrutto o a una forma nuovi.

(cfr. www.garzantilinguistica.it)

Sostantivo dal significato ambivalente, spesso avversato e combattuto (magari con forme linguistiche dispregiative, come lotta al “meticciato”), io dichiaro di essere un appassionato di contaminazioni.
Esse rappresentano il sale della vita e l’unica possibilità di miglioramento ed evoluzione per il genere umano. Un mio amico che raccontava di avventure incredibili durante il suo erasmus svedese (e poi per questo replicato per un altro semestre) mi garantiva che i frutti migliori di quella terra sono il risultato di contaminazioni scandinavo-indiane (o africane, o mediterranee), facendo comprendere di parlare con cognizione di causa.
Per questo mi piace 11/8 records, un’etichetta musicale indipendente che fa della contaminazione la propria ragione di esistenza, fatta di trombe, fiati, violini ed elettronica, voci nasali di cantanti maghrebini, balcanici e duri accenti salentini.
I progetti musicali e culturali di quest’etichetta (Opa Cupa, Zina, Tax Free, Taranta Virus), diretti da Cesare Dell’Anna ma soprattutto dalla sua tromba, sono degni delle migliori session continentali e speriamo che ci arrivino presto, sempre che lo vogliano.

P.S. il video linkato in basso è girato in un bellissimo paese dell’entroterra salentino, famoso tra l’altro per avermi dato i natali, oltre che per essere uno dei centri gravitazionali di 11/8.



domenica 2 dicembre 2007

CineFuturo



Ieri sera, al telefono con Gianluca, apprendo che ha vinto insieme al fratello il premio speciale della giuria al Torino Film Festival, il primo con la firma di Nanni Moretti. Il film di Gianluca e Massimiliano De Serio s'intitola "L'esame di Xhodi" e parla di una scuola d'arte a Tirana. E' stato premiato nella catogoria "Italiana.doc", la seconda più importante del festival, per "aver saputo raccontare con inconsueta padronanza dei mezzi espressivi la straordinaria, quotidiana esperienza della creazione artistica".
Ecco, è sempre bello quando un amico con cui ha passato momenti felici, ottiene un risultato così importante nell'inseguimento dei suoi sogni.
Con Gianluca condivido ricordi spensierati durante l'Erasmus a Lisbona nel 2002. Come una volta che lo accompagnai di notte a riprendere un pollo nella vetrina di un macellaio, per uno strampalato corto che aveva deciso di girare.
Grazie a Gianlu ho potuto conoscere altri cinefattori più o meno aspiranti, e ho capito una cosa:che nell'arte, le cose importanti le fanno quelli che hanno un'urgenza dentro, che seguono una voce interna.
Non quelli che come prima cosa hanno chiaro in testa che vogliono fare il regista, lo scrittore, l'attore. Ma quelli che vogliono/devono raccontare quella storia - non un'altra - perché non potrebbero fare altrimenti.
E allora questo premio, in un momento di passaggio come può essere quello di un giovane che si avvicina alla trentina, mi ricorda che il coraggio è sempre la via migliore per la felicità.