giovedì 31 gennaio 2008

La signorina effe


I film non sono tutti uguali.
La scorsa settimana sono andato a vedere Irina Palm al cinema. Non era poi così brutto, anzi la storia mi è sembrata originale, ma di tanto in tanto avevo una gran voglia che si rompesse la macchina, per potermi risparmiare il resto.
Domenica invece ho visto “La signorina effe” di Wilma Labate e sono rimasto tremendamente colpito.
Non solo per la bellezza di Valeria Solarino, che pure rappresenterebbe una ragione sufficiente a turbare la mia sensibilità di bradipo-italiano medio, ma perché ha colpito in profondità, in molte delle più stridenti contraddizioni mie e della mia generazione.
Il film è ambientato a Torino nel 1980, durante la vertenza FIAT, l’occupazione delle linee e la marcia dei “colletti bianchi”. Emma (Val.Sol.) è figlia di un ex operaio crumiro meridionale, si sta per laureare, è avviata a far carriera nella FIAT, ha una relazione col suo ingegnere-capo (Silvio, alias Fabrizio Gifuni. È stata designata dalla famiglia (padre-madre-nonna-fratello-sorella) a fare il salto sociale, a dare un senso a tutti gli sforzi fatti, a uscire da quartieri operai degradati. Poi s’innamora di un operaio rebelde (Sergio, alias Filippo Timi) e le cose sembrano cambiare.
Non vi toglierò il gusto di vedere il film -ci mancherebbe!- ma voglio condividere le ragioni del mio turbamento.
Una città, Torino, che ritorna nella mia vita come destinazione futuribile ma mai concreta. Una città di cui ora si assiste alla rinascita ma che mostra ancora evidenti i segni del buio degli ultimi vent’anni, fatto di disoccupazione, di riconversione, di eroina, di torpore depresso o di rabbia depressa, di emarginazione e ghettizzazione degli operai e delle loro famiglie.
Un conflitto devastante tra le ragioni del lavoro e quelle dell’efficienza. Tra la mia vicinanza familiare e politica all’esperienza umana degli operai, alla loro sofferenza e fatica e la consapevolezza che l’efficienza è un fattore imprescindibile di crescita, anche per i lavoratori.
Il mito della contestazione anni ’70 che da qualche anno continua a naufragare nella realtà dirompente delle sue ombre, della sua violenza, mentre da adolescente vedevo come l’occasione bellissima perduta.
La contraddizione tutta personale tra l’essere figlio di un operaio-contadino meridionale e l’essere (inutile negarlo) attualmente un “colletto bianco”.
Infine, la contraddizione che vive Emma tra un amore liscio, tranquillo, affidabile e un po’ opportunista e l’amore idealista, ruvido, affascinante e inaffidabile.
All’uscita dal cinema avevo voglia di parlare ma faceva troppo freddo.

lunedì 28 gennaio 2008

Decalogo contro il qualunquismo

Bradipo e Cipputi sono addolorati per la caduta del governo. Votare stanca. Sta diventando come prendere le pillole contro il diabete. Due volte al giorno, a stomaco vuoto... per non rischiare di vomitare.
Cipputi ha meditato a lungo se fosse il caso di entrare in clandestinità...
Brad per un attimo ha pensato di andare al mare...
Poi, si sono detti No. Cedere al qualunquismo ora sarebbe troppo facile.


  1. Perché il qualunquismo è un circolo vizioso da cui non si può uscire. In poco tempo vi ritrovereste, contro la vostra stessa volontà, al bar dello sport a parlare di mezze stagioni che non ci sono più e della sudditanza degli arbitri nei confronti della capolista


  2. Perché il qualunquismo è come pensare che tra la tortura e lo sgwarhouse* non ci sia differenza


  3. Perché se riuscite a stare calmi e non vomitare questa volta, potete buttare i farmaci contro la nausea che avete nel cassetto… siete guariti!


  4. Perché non esistono problemi impossibili ma solo soluzioni difficili (ditelo a Napolitano…)


  5. Perché votare è come fare un festino in casa. Il giorno dopo ti risvegli, vedi la casa distrutta, gente per terra, e dici con un certo orgoglio: “Minchia che casino che abbiamo fatto…” Vuoi mettere la soddisfazione di partecipare allo sfacelo?


  6. Perché non votare è come vedere i tuoi amici che pomiciano selvaggiamente vicino al falò mentre tu suoni “Piccolo Grande Amore” con la tua chitarrina


  7. Perché un Grillo non fa primavera


  8. Perché il qualunquismo è come dire che le femmine sono tutte but****, tranne la mamma


  9. Perché il parlamento è gratis… e la Pay-Tv costa


  10. Perché voglio vedere come cazzo va finire

    Sempre vostri, Bradipo e Cipputi



* Sgwarhouse: attacco violento e fulminante di diarrea, che lascia pochi minuti prima di esplodere in tutta la sua effervescenza

domenica 27 gennaio 2008

Voglia di parlare

Ieri, sabato 26 gennaio, avevo bisogno di capirci qualcosa.
Non della mia vita, del mio futuro, di quello delle persone care -cose a cui ciscuno pensa in continuazione- ma del futuro del paese.
Essendo un bradiporiformista (oltre che nevrotico) ho pensato che valesse la pena sentire qualche discorso al convegno della fondazione Italianieuropei, all’auditorium Marcello, Roma Eur.
I discorsi, tra gli altri, di Amato e D’Alema hanno avuto grande impatto sulla folla presente, che si muoveva e chiaccerava bisognosa di condivisione delle idee e anche delle paure. E bisognosa di qualche linea guida. Quando ha parlato D’Alema la gente ascoltava. Cercava di capire cosa avesse in mente e in questo modo cercava di farsi un’idea della situazione. Mi ha colpito il fatto che ci fossero persone da tutta Italia, personaggi politici locali. Io e l’amico DiCa abbiamo riconosciuto gli esponenti pugliesi di un partito che sembra aver perso slancio solo pochi mesi dopo la sua fondazione.
Poi ho incontrato un signore (un compagno, si potrebbe dire se Cipputi me lo consente) che con la scusa della fila al bar ha attaccato discorso. Diceva, rivolto ad un altro signore che aveva saltato la fila, che almeno tra noi democratici non ci dovrebbero essere queste cose, dimostrando contemporaneamente ingenuità e disorientamento. Gli abbiamo offerto un caffè e abbiamo chiaccherato, di umanità varia, prima di salutarci.
Tornando a casa, dopo gigabyte di discussioni impegnate sulla politica e sul futuro della sinistra, un signore mi ha fermato vicino casa, a ridosso di un campo di calcio (AS Romulea, Roma) chiedendomi il risultato della partita. Alla mia risposta negativa ha reagito raccontandomi che lui dà una mano con la squadra degli allievi, che però gli impegni di lavoro non gli hanno consentito di essere presente alla partita. Per poi aggiungere prima di salutarmi che avrebbe dovuto fare una visita in ospedale, nell’ospedale a due passi da casa mia.
La gente ha bisogno di parlare. Io ho bisogno di parlare e questo blog vive per questo. Sembrano non esserci più luoghi di discussione e si soffre di isolamento. Vale per la politica ma si estende a qualsiasi ambito, soprattutto in una grande e rumorosa città, in cui tutti emulano i comportamenti degli altri ma nessuno si ferma a capire, a parlare.

venerdì 25 gennaio 2008

Istantanea II


Mi ero sbagliato....

E' questa l'istantanea giusta del paese.

lunedì 21 gennaio 2008

Istantanea di un paese normale



In certi momenti uno sente il bisogno di fare una fotografia della situazione. Un'istantanea del paese. Il ministro della Giustizia e la moglie indagati per clientelarismo nella Sanità. Il capo dell'opposizione indagato per pressioni e raccomandazioni alla Rai. Napoli affonda nella monnezza da 15 anni, e il sindaco, nonché ex commissario straordinario per l'emergenza rifiuti, non ne vuol sapere di dimettersi, così come il ministro dell'Ambiente, per cui rimanere in sella sembra più importante di ammettere il fallimento.
Duecentomila persone sentono il bisogno di manifestare solidarietà a uno degli uomini più potenti del mondo, che deve alzare la cornetta per NON far parlare di lui, piuttosto che il contrario, dato che sta sempre nei tg a pontificare. A San Pietro va in segno di solidarietà tutto l'arco politico. Nessuno, al di là del folklore degli universitari rossi duri e puri, ha sentito la necessità di esprimere solidarietà ai professori che hanno mosso una legittima domanda di laicità con una lettera dimessa.
Nel frattempo, il governatore della regione Sicilia viene condannato a 5 anni d carcere per aver favorito delle persone che nello stesso processo sono state condannate quasi tutte per mafia. Ma siccome la sentenza dice che il governatore queste persone le ha favorite senza sapere che erano mafiose... lui, con una condanna di 5 anni sulle spalle, esulta, abbraccia, incassa complimenti e dice "Resto al mio posto".
Gli operai muiono, i portuali bloccano i cantieri, e il paese rimane fermo a guardare la tv.
Poi trovi un'intervista del numero 2 del Pd che afferma sicuro: «Appare ormai chiaro che gli italiani hanno voglia di due grandi partiti: uno democratico e uno conservatore, in concorrenza aperta su due programmi diversi e distinti». Eppure tutti sanno che nei paesi con il bipolarismo puro, i programmi dei due partiti sono tutt'altro che "diversi e distinti", tanto che la percentuale di partecipazione al voto risente pesantemente degli astenzionisti per cui "tanto votare uno o l'altro non cambia niente". E poi, come si fa a dire - in un paese dove a destra c'è un partito col 10 per cento, e a sinistra una aggregazione di partiti che potrebbe arrivare al 15 - che gli italiani vogliono chiaramente due soli partiti di centro?
Io scatto questa foto all'Italia. Viene fuori una specie di Faranheit 451 aggiornato al 2008, in cui il grottesco prende posto del reale, e nessuno sembra farci più caso. Chi sta su parla per chi sta giù, e dice: "E' evidente, chi sta giù vuole che chi sta su usi la mordacchia e la frusta". E chi sta giù, esausto, finisce per dire: "é vero! deve'essere proprio quello che penso"...

Com'era, D'Alema... un paese normale? Forse intendeva "normalizzato".

mercoledì 16 gennaio 2008

… e dagli spalti piovono urla e fischi

È di ieri la notizia della rinuncia di papa Benedetto XVI a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico de “La Sapienza”, la più grande università italiana. Questa decisione fa seguito alle polemiche suscitate dall’appello rivolto al rettore di quell’università da un folto gruppo di ricercatori e docenti (che faceva riferimento ad una lettera aperta del prof. Marcello Cini) in cui si chiedeva di annullare l’invito in quanto – a loro giudizio – non conforme allo spirito laico dell’università e della ricerca.

La principale argomentazione dell’appello riguarda una frase pronunciata il 15 marzo 1990 dall’allora card. Ratzinger durante un discorso pubblico a Parma in cui citando Feyerabend si diceva: “All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto".

A questo punto la società italiana si è divisa in fazioni, in gruppi ultrà “papisti” e anticlericali, senza nessuna concessione al ragionamento. Il clima da curva sembra essersi radicato in profondità nella società italiana. Non si discute, si urla. Si preparano commenti precotti da scongelare col microonde all’occorrenza, assolutamente prevedibili e disarmanti.
Io sono convinto che l’approccio di Joseph Ratzinger al suo importantissimo ufficio rispecchi una tendenza alla conservazione che è sempre stata presente all’interno della Chiesa e che considera di grande importanza il preservare la tradizione, il fare continuo riferimento ai valori considerati “naturali e universali”, verso i quali dovrebbero tendere non solo i credenti ma tutta la società, con tutto quello che consegue in termini di legislazione. Le battaglie interamente politiche sulla procreazione assistita (legge 40/2005), sull’aborto (legge 194/80), sulle convivenze civili (ddl sui DICO) sono il frutto di quest’approccio militante e sono evidenti nel loro carico simbolico.
Molti pensano, compreso chi scrive, che questo approccio non sia utile alla società in quanto favorisce contrapposizioni sterili, limita gli spazi di dialogo, annulla il confronto su temi particolarmente delicati e forza il dispositivo costituzionale di separazione tra Stato e Chiesa. Tutto questo in un paese in cui da un lato le classi dirigenti fanno a gara a dimistrarsi accondiscendenti nei confronti della Chiesa Cattolica, dall’altro persiste un anticlericalismo ottocentesco che vede nella religione un baluardo dell’oppressione dei popoli o della ragione.
Ma cosa c’entra tutto ciò con la visita di Benedetto XVI? Per quale logica –politica o morale- si dovrebbe impedire al rappresentante della Chiesa Cattolica di esprimere il proprio pensiero?Si poteva manifestare il dissenso il molti (e più efficaci) modi. A me sembra che questa sia un’imperdonabile stupidaggine. Un ottimo modo per danneggiare la causa di chi sostiene la laicità, di chi vuole che non ci siano ingerenze reciproche, che pretende la libertà per tutti e per ciascuno.

lunedì 14 gennaio 2008

ADdioSL


"padre, è stato un attimo...quanto può durare un attimo?". Questa frase, pronunciata da una ex posseduta nel film Il Piccolo Diavolo di Benigni, a me viene in mente in questi giorni ogni volta che parlo con un tecnico di Libero per il guasto alla mia linea Adsl. E' stato un guasto... ma quanto può durare un guasto? E' dal 28 dicembre che la mia linea internet a casa è fuori uso, e dal 5 gennaio che ho segnalato il guasto... inutilmente. Per citare un altro film famoso, se Un giorno di ordinaria follia lo avessero girato oggi, Michael Douglas sarebbe sicuramente impazzito, e avrebbe cominciato a smitragliare a destra e manca, per un guasto alla linea Adsl (probabilmente con Libero Infostrada).
Starò esagerando? Sarò uno di quei tossici dipendenti dalla tecnologia? Dovrei piuttosto approfittare della libertà provvisoria e improvvisa per godermi il tubare dei piccioni sul davanzale e il leggiadro suono dei trapano dei perenni lavori in corso dei vicini? Spegnere tv e computer e godere della natura incontaminata che regna al centro di Roma?
O piuttosto ormai restare senza internet a casa è diventato scocciante come rimanere senza luce? Con il peggiorativo che la mancanza di internet non crea atmosfera romantica, né quindi amplessi a valanga e baby boom da doppino interrotto.
Sigh... sono irrecuperabile?

Commento non qualificato al concerto di Paolo Fresu


Doveva essere una serata di bella musica. E a mio parere lo è stata.
Forse le decine di persone che hanno abbandonato in anticipo la sala Santa Cecilia dell’Auditorium farebbero fatica a concordare; ma si sbagliano.

Piccolo passo indietro. Domenica 13 gennaio. All’Auditorium Parco della Musica di Roma è in programma un concerto di Paolo Fresu dal titolo indicativo: Running. Un progetto multimediale (così recita il sottotitolo) durante il quale il trombettista si esibisce in tre diverse sale con tre delle formazioni jazz in cui ha espresso il proprio talento, grazie ai collegamenti audio-video ed altre diavolerie tecnologiche.
Il progetto è molto ambizioso e rischioso. Fresu appare in collegamento video mentre arriva in macchina e prosegue la serata eseguendo pezzi o parti di essi in una sala per poi spostarsi rapidamente in un'altra, spesso duettando con gli altri musicisti via etere.
La reazione del pubblico è di spaesamento. Molti non hanno gradiscono. Una signora accanto a me va via indignata gridando “vergogna!” per –a suo dire- la mancanza di rispetto nei confronti del pubblico. Altri si alzano non appena ci si rende conto che lo spettacolo andrà avanti così.
Lui arriva, suona con quel suo fare indifferente e con brevi suoni dello strumento, aiutandosi con un campionatore e limitandosi quasi ad accompagnare gli altri musicisti.
E qui è la grandezza dell’idea.
Non il concerto di un’inguaribile prima donna ma un “concerto”, fatto da artisti di spessore. Un concerto corale in cui hanno grande risalto i tre contrabbassi (eccezionale il duetto di Furio Di Castri e Ares Tavolazzi, accompagnati dalle batterie in video), in cui tutti hanno modo di carpire l’attenzione del pubblico in sala e di ricambiare con l’energia della musica. Non so se questo effetto ensamble sia voluto o è piuttosto frutto di un errore di valutazione. Chi va via si sente frodato perché pensava di assistere ad un concerto di Fresu e si sente invece trascurato dal piccolo trombettista errante, in viaggio tra la sala Sinopoli, la Santa Cecilia e la Petrassi.
Chi è in sala ascolta i musicisti sul palco senza perdersi dietro alle movenze del solista ed ha –io ho avuto- l’impressione di gustare la musica per quello che rappresenta: puro abbandono sensoriale, un modo per pensare ai propri sogni e alla propria realtà con una colonna musicale ispirata.
Forse Fresu ha sottovalutato l’importanza della presenza fisica di un artista, la magia della contemporaneità che fa di un concerto (o di uno spettacolo teatrale) un’esperienza irripetibile. Forse ha indisposto una parte di pubblico poco abituata a stimoli multipli, alla multimedialità. O forse voleva così.
Ad ogni modo è stata una serata di bella musica

venerdì 11 gennaio 2008

Stereotrip!


Serata passata con Brad in giro per San Lorenzo, davanti a una birra a parlare di donne (del fascino che subiscono per i baffi...non ci credete? Provate!!) e di massimi sistemi.
Per chi non bazzicasse la capitale, S.Lorenzo è il classico quartiere GGiovane e di sinistra: zeppo di studenti in tutina adidas (anche se a dire il vero, a Roma va molto più di moda la felpa con cappuccio modello mercato di Via Sannio - 10 euro), spacciatori di erba e pasticche, sciatte alternive con golf della nonna, sessantottini fulminati, ecc..
Mentre aspetto Brad, si avvicina un punkabbestia barcollante e chiede con la voce impastata "Cciainasigaretta?". Arriva Brad e ci avviamo. Si approssima una punkabbestia con cane incluso. Parentesi sul cane: qualcuno un giorno mi spiegherà perché i cani dei Punkabbestia hanno sempre dei nomi idioti tipo Todo, Terri, Flaco, Giorgio, Minù... e perchè i padroni si ostinano a sgridarli ad alta voce nonostante se ne stiano regolarmente accucciati e mansueti tra le loro gambe. vabbè, chiusa parentesi. Questa punkabbestia si avvicina e dice "Checcianasigaretta?". Ecco, mi chiedo... ma questi personaggi qui li paga il Comune per confermare lo stereotipo del quartiere?
A volte, la realtà ti costringe a superlativizzare (che cazzo ho scritto??) lo stereotipo rimasto indietro...
Lo sfattone che ti chiede una sigaretta a San Lorenzo è come il ragazzetto con i capelli leccati e il colletto alzato ai Parioli o come il panzone sudato in giacca e cravatta dalla parti di Montecitorio... Come la coppietta che si bacia sull'isola tiberina, il coatto romanista di Testaccio, la fighetta in tuta che porta il cane a pisciare a Villa Ada.
Questi personagi oltre ad essere stereotipi, esistono davvero. Dunque, è evidente che il Sindaco più cinematografico del mondo abbia al Campidoglio un ufficio segreto, addetto a organizzare e pagare le comparse assunte per confermare le nostre idee preconcette e farci sentire in un confortevole Truman Show de Noantri.

15DaysInAmerica (OPS production)

Gli Stati Uniti sono un gran paese. Noi cerchiamo di capire, studiare, ci interessiamo ai loro problemi per capire almeno un po’ cosa ci succederà tra qualche anno.
Gli Stati Uniti sono un continente con un unico presidente, un unico uomo (almeno finora) al comando e mille lobby, mille religioni, mille apostoli del sogno americano e per ciascuno di essi un feroce critico, un Chomsky che mette in discussione la retorica spesso paralizzante del buon americano.
Noi siamo fanatici d’america, passiamo molta parte del nostro tempo a vedere film americani, a imparare l’americano, a spettegolare sugli attori americani, a distinguere tra l’america buona (contestatrice e idealista) e quella cattiva (fanatica per le armi e le religioni). A interessarci della “loro” politica, che in un certo senso è anche nostra.
Per chi volesse seguire le primarie americane –democratiche e repubblicane- cercando di capire qualcosa di più, vi consiglio questo blog.
Sono italiani, giovani, esperti di comunicazione partiti per gli Stati Uniti con l’intento di capire qualcosa di più dei candidati e dei loro sostenitori, anche perché il/la presidente degli Stati Uniti “è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita”.

martedì 8 gennaio 2008

Appunti di Viaggio di un emigrante abituale


Stazione di Lecce, 6 gennaio 2008 ore 06.00

Ancora una volta in viaggio.
Da bambino il viaggio era estivo, familiare, parrocchiale, una piacevoleevasione da una tranquilla vita di paese. Qualche giorno per visitare luoghi, conoscere persone già conosciute, acquistare guide turistiche a buon mercato, per poi ritornare nei luoghi propri e raccontare storie. Più che viaggi erano gite, rumorose ma educate, pellegrinanti.
A diciannove anni le partenze erano dei pugni allo stomaco, salti nel buio di un’altra e diversissima città di provincia, in cui reinventarsi e vivere una dimensione parallela, più libera.
Non dimenticherò mai lo sforzo che feci per trattenere le lacrime durante una cena prima della partenza per Siena, una sera di gennaio del ’98. Il Natale mi aveva regalato delusioni amorose ma il ritorno all’università non rappresentava un sollievo ma ulteriore cattiveria del destino.
È stata l’ultima –finora- partenza dolorosa.
Da allora sono sempre stato contento di tornare nei miei luoghi d’adozione, cari come gli amici che li popolano, così diversamente uguali ai carissimi amici salentini.

Stazione di Brindisi
Alla prima fermata del treno mi sento già un po’ diverso. La musica che ascolto mi sembra più adatta alle circostanze e conosciuta. Non so perché ma i Radiohead restituivano un sapore strano –vagamente fuori luogo- nel tragitto che da via Abruzzi, via Cepolla, via Sant’Elia mi portavano a casa di mio fratello. Forse Guccini sarebbe stato diverso, già rodato alla routine de lu paise ranne.
Ancora non albeggia, il treno riparte da Brindisi e forse è ora di recuperare un po’ di sonno.
Chissà se la mia bella sta dormendo…
P.S. proprio mentre mi addormento mi rendo conto di aver omesso tutte le partenze d’amore, passate in stazioni disparate (non troppo numerose) da buon emigrante. Magari ve lo racconterò un’altra volta
È che là fuori
c'è un treno di ferro
con il cuore di calce
il soffio di acido e veleno
una valanga d'amore contro un bicchiere d'aceto
dopo l'ultimo bacio
prima del fischio del treno
(Ivano Fossati, "Il treno di ferro", 2000)