domenica 25 ottobre 2009

Mi piace l'uccello. Embè?


Un politico ricattabile per i suoi vizi privati, e che si lascia ricattare, è un problema per la gestione della cosa pubblica. Così come un politico che scambia il soddisfacimento dei suoi vizi privati con offerte di incarichi pubblici. E questo vale sia Berlusconi che per Marrazzo.
Chiarito questo, però, m'interessa prendere in considerazione l'ultimo caso di politica e puttane da un altro punto di vista. Prima, Sircana sorpreso a trattare con un viados, poi Mele coinvolto in un festino con due puttane, dopo il premier con l'harem e lo grandi scopate nel lettone di putin. Ora Marrazzo che s'arrazza solo con i transessuali.
E' un caso? No, non è un caso. I politici sono dei porci depravati. No, non credo. Non più della media delle persone. Se vi è capitato qualche volta, magari durante un'alba alcoolica di parlare a fondo dell'immaginario erotico con un vostro amico, in totale sincerità, vi sarete scoperti a confessarvi desideri senz'altro non catalogabili come 'normali'.
Gli scandali politici prima accennati costituiscono una montagna di segni che andrebbe presa come una possibilità invece che come una vergogna. La possibilità di maturare una consapevolezza che un paese cattolico come il nostro non ha mai avuto: Il sesso è un mondo a parte, e tra persone consenzienti non è mai giusto o sbagliato, bello o brutto, lecito o illecito.
Considerare la posizione del missionario e poche altre come desideri a norma di legge morale, e inaccettabile tutto il resto, crea una bolla d'ipocrisia molto pericolosa. La rispettabilità di una persona non dovrebbe mai misurarsi con le sue abitudini sessuali.
Se vivessimo in un paese in cui andare a letto con un transessuale (anche pagando, perché no?) fosse visto come uno dei tanti sfoghi possibili del proprio immaginario erotico, Marrazzo probabilmente non avrebbe ceduto al ricatto dei carabinieri. Ne avrebbe parlato alla moglie, con la coda tra le gambe per l'adulterio, ma avrebbe denunciato subito i suoi ricattatori.
Ma in Italia una vera liberazione sessuale non è mai avvenuta completamente. La sfera sessuale è modellabile ed indagabile solo dal mercato del consumo e dalle gerarchie ecclesiastiche.
Le uniche due categoria che dovrebbero essere lasciate alla porta, quando ci si appresta ad un atto di piacere puro.

Endorsement

"Hai più pensato a quel progetto di esportare la piadina romagnola?"

venerdì 23 ottobre 2009

Vedendo Videocracy ho capito perchè B. vince

Post scritto ai primi di settembre - all'uscita del film di Erik Gandini - e mai pubblicato causa lunatismo dell'autore. Brad



Sono andato a vedere il film-documentario “Videocracy” e ho capito perché SilvioB. vince le elezioni.

Ci sono andato con un po’ di riluttanza, aspettandomi qualcosa di scontato o di banale. La visione ha in parte confermato queste aspettative ma ha – più o meno casualmente – offerto qualche spunto interessante.

Per chi non lo ha visto, la narrazione si basa su quattro personaggi principali: Rick, il ragazzo che vuole diventare famoso e altri tre personaggi che famosi lo sono già, vale a dire Lele Mora, Fabrizio Corona e l’immancabile Silvio B. che (manco a dirlo) è il centro di tutto il racconto.

Sicuramente il mio socio Cipputi non mancherà di darci la sua versione (la celebre “Cipputi’s version”) ma quello che vi voglio raccontare non riguarda il film bensì le reazioni del pubblico in sala.
Come potete immaginare, questo film raccoglie principalmente gente ostile al miglior-capodelgoverno-di-tutti-i-tempi è questo non mi sorprende. Ma sentite il resto.

Cinema buio. Brusìo in sala alla vista (nell’ordine):
del ragazzo che sogna di diventare il Jean Claude Van Damme bresciano;
di Lele Mora vestito di bianco nella camera tutta bianca che fa sentire gli inni a Mussolini dal suo telefonino;
della ragazza che in un centro commerciale durante le selezioni per aspiranti veline dichiara di farlo perché sogna di sposare un calciatore.

Risolini supponenti. Poi parte la canzone “meno male che Silvio c’è” cantata da donne entusiaste e si scatena il finimondo di risate. Una coppia attempata accanto a me fa dei commenti ad alta voce che sembrano dire “ma come siamo caduti in basso”, “ma siamo in un paese di scemi?!”, “perché la gente è così stupida?”. E li mi cadono le braccia.
Non che io abbia simpatia per quelle scene ma mi viene da pensare che non ci sia da parte di chi si sganascia dalle risate il minimo interesse a capire quelle persone. Non a giustificarle ma a capire.
Il paradigma della superiorità intellettuale che sembra ammantare molti di noi de sinistra ci fa da velo nella comprensione della realtà. L’atteggiamento snob ci impedisce di vedere che ci sono milioni di persone che hanno preso e fatto propri i sogni offerti dalle tv di Berlusconi.In fondo anche chi scrive un blog sogna quel quqrto d’ora di celebrità, almeno tra i pochi contatti virtuali.

mercoledì 21 ottobre 2009

Adulti con le ali


Sono stato al cinema a vedere il film Ricky di Francois Ozon. Il film è imperfetto, mal equilibrato, e in certi momenti sembra non decollare. Gli amici che ho portato a vederlo quasi mi volevano ammazzare. Eppure a me è piaciuto e consiglio di vederlo. Parla di una donna con una figlia che vive e lavora nella periferia di una grande città francese. Scopa con un collega di fabbrica, se lo porta a vivere a casa, fanno un figlio e... e il figlio nasce con le ali.
Il seguito non lo racconto, ma da quel momento la pellicola fino ad allora dura e realistica come un film di Ken Loach, prende un'altra piega. Dopo una fase di piena burrasca, la famiglia ritrova un equilibrio, dovendo rinunciare a qualcosa di grande.
E' un film imperfetto, come la vita, che parla di vita. Di come a volte l'inizio di una relazione, o di una nuova fase in generale, comporti disequilibri, smottamenti, di come davanti ai muri si può rimanere fermi, scappare o provare a scalarli. Parla dei sogni, anche quelli bellissimi, supremi, che a un certo punto però si trasformano in piombo pesante, in figli mostri impossibili da controllare. I sogni-ricatto che bisogna lasciar volar via per essere di nuovo liberi di trovare la propria felicità.
Ricky parla infine di come rinunciare alla fantasia e alla libertà della giovinezza sia il modo peggiore di affrontare i problemi, una volta diventati adulti.
Non so se il film valga 7,50 euro. Però riflettere su certe cose, credo di si.

sabato 17 ottobre 2009

I Nobel della speranza

Autunno, cadono le foglie e l’Accademia Reale di Svezia ha premura di comunicare al mondo le proprie decisioni sui premi più ambiti, i Nobel. Ambiti ma forse un po’ arrugginiti, stantii. Per questo, probabilmente, hanno voluto ridare nuovo slancio all’iniziativa sfidando la crisi economica che occupa le prime pagine dei giornali con un’assegnazione a sorpresa: quella del premio Nobel per la Pace a Barack Hussein Obama, neopresidente americano, assegnazione prontamente definita da Furio Colombo come un «premio alla speranza» (Il Fatto Quotidiano, 10 ottobre).
Sarà, ma ho l’impressione che si tratti di un premio alla fiducia più che alla speranza, dopo appena nove mesi dall’insediamento.
Il vero Nobel alla speranza invece è quello assegnato a Olivier Williamson, soprattutto per l’Italia.
Uno dei principali campi di studio di questo economista americano è quello relativo alla perdita di efficienza di un mercato basato sul monopolio (dove un solo agente decide cosa produrre, in quale quantità e quindi a quale prezzo) rispetto ad un mercato in condizione di concorrenza. Questa constatazione apparentemente banale, tale da riaffiorare anche nelle menti di chiunque –in qualunque facoltà-abbia faticato per strappare un sudato 18 all’esame di Economia- è il principale presupposto di tutta la teoria e la legislazione antitrust. La salvaguardia della concorrenza, vale a dire della pluralità degli agenti, come garanzia di efficienza rispetto alle distorsioni monopolistiche. Da qui le famose sentenze che negli USA e in Europa (più da noi, sebbene la vera patria di queste discipline sia oltreoceano) hanno messo sotto accusa perfino il principale tra i monopolisti moderni, Microsoft. La speranza è che dalla governance degli attori istituzionali economici, come il mercato, l’impresa, la legislazione, si passi alla diffusione di una cultura plurale.
La speranza –vana, per ora- è che in Italia si arrivi a comprendere l’importanza del pluralismo nella sfera economica ed in tutte le altre, rendendo pienamente efficaci le legislazioni antitrust, spezzando le logiche corporative e (nel migliore dei casi) oligarchiche del nostro sistema produttivo. Logiche che non riguardano solo le grandi aziende italiane ex-para-forse-statali ma anche altri attori sociali quali gli ordini professionali, i micro-sindacati di categoria, le sale vip-lounge degli aeroporti (piccola stupida licenza, dovuta al fatto di scrivere in volo…).
Vorrei vedere un laureato in CTF aprire una farmacia il giorno dopo la discussione della sua tesi o a scelta una settimana dopo una festa di laurea degna di nota; vorrei non dover dare cinquemila euro (scrivasi 5.000 €) per un atto del notaio. Vorrei evitare di vedere l’amico e socio Cipputi comprare una vecchia, malconcia Lettera 22 solo per andare a fare l’esame da giornalista.

P.S. il premio Nobel per l’economia è stato assegnato ex aequo anche all’economista Elinor Ostrom (foto accanto), prima donna a ricevere il premio in ambito economico. Immediata la reazione del Re di Svezia: «Lei è più bella che intelligente!».

giovedì 8 ottobre 2009

A tratti percepisco tra indistinto brusio

Il popolo acclama, il popolo innalza, il popolo urla, il popolo rovescia. Il popolo crea feticci, il popolo li brucia, il popolo si riscalda insieme a quelli che saranno i prossimi feticci. Il popolo vive di luce riflessa e periodicamente se ne duole... con sommosse o rivoluzioni. Il popolo non riesce a non essere popolo.



"Se tu pensi di fare di me un idolo Lo brucerò,Trasformami in megafono m'incepperò,cosa fare non fare non lo so,quando dove perché riguarda solo me,io so solo che tutto va ma non va,non va, non va, non va, non va... " (a Tratti - Csi)





nota: se non fosse chiaro il post prende spunto dalla notizia dell'incostituzionalità del lodo Alfano e dalle reazioni di giubilo che si sono aperte dopo la notizia.

martedì 6 ottobre 2009

Mario Fava contro Jacqueline ( 1 )


Torna, come un rutto dopo un lauto pranzo domenicale, l'asceta polemicacone con uno dei suoi personqggi migliori: le avventure di Mario Fava, l'unico piacione goffo mai apparso nella letteratura d'appendicite degli ultimi 73 anni. A bien tot


Senta signorina, Ferma a piramide questo. erano davanti un aperitivo jaquelin e mario, arrivati da due lati lontani della città. Ognuno con il suo gruppo, mandavano avanti stentate discussioni di aggiornamento e volando di palo in frasca si pigiavano i due tre negroni che il senior robertino mungeva per loro. Memè malacanna, massetto, la cri e ada, gigi pago pegno e mario, questa era la sua formazione. Vertigo massetto aveva adocchiato un tavolino proprio strizzato contro quello della malcapitata. faccetta supermario si traballacchiava ancora nella sua polemica inutile nei confronti del suo corpo, lasciati i giardini maleodoranti, aveva preso la via del cardiofit climatizzato, pagava l'azienda e non avevi nemmeno costi di trasbordo da sopportare. Appena uscito da quella tortura il giovine non riusciva mai a gestire quella correzione d'ossigeno al suo cervello. Rosso in faccia non lo si poteva tenere, spigolando frecciatine coriandoli e ricamini su ogni parola che una donna (unico suo interlocutore dopo le 18.00) potesse attutire, quella mole omicida non lasciava scampo a nessuna. Ridevano anche le monache del monastero, le gitane ed i piloni dell'alta tensione. Una volta chiara V perse completamente la testa vedendolo aggrappato alla sua capa, classico menager asessuato e rossofuoco pigmentato, inacidito dal 1983 e serio-appassito. Quella sera mario aveva voluto forzare come sempre le sue possibilità, e la dirigente passaticcia gli sembrava una buona medaglia da collezionare. Sapeva di non poter fallire, 47 minuti di tapirulà non volevano certamente dire niente.

Fatto sta che anche la sera di jaquelin il nostro eroe aveva sbatacchiato il suo organo pompatore ben oltre i 140 bpm ed ancora ne portava il colore sul viso. Vertigo gli fa segno, sventolando la bandierina appena issata su quel territorio finalmente conquistato. Mancavano però le sedie su cui prendere residenza per quella serata e dopo aver fatto adagiare tutti il piccolo principe dello sberleffo chiese al tavolo a fianco se quella sedia era occupata. La ragazza rispondendo al suo sorriso sornione: “si, è occupata dalla borsa”, “vabbe – dice mario – basta che non ci sono coltelli e forbicine, io mi ci posso sedere comunque”. Su una risata interlocutoria la sedia viene liberata e tutto sembra finito lì. I due però sono seduti praticamente di fronte e la piccola non fa altro che buttare lì per lì sguardi incuriositi. Il mago a quel punto non può fare altro che pavoneggiarsi allisciandosi le piume come nessuno sa fare meglio di lui. Continua le chiacchere con la sua squadra ed a un certo punto prende a leggere un giornale tirato fuori non sa bene nemmeno da chi. In tutto questo jaquelin si alza a prendere da bere e poco dopo si va a sedere spalla a spalla con mario. A questo punto il ganzo del pigneto non può far altro che alzare lo sguardo da quei fogli e con un'occhiata svogliata le chiede “Senta signorina, ferma a piramide questo?”

CONTINUA...

sabato 3 ottobre 2009

L'Alluvione di Messina. Paglia, legno e mai mattoni


A Messina il fango sommerge le case e si riprende la strada. Basta qualche giorno di pioggia e le vite di migliaia di persone vengono sconvolte per sempre. Alla fine del caos i morti saranno probabilmente una cinquantina.
Di disastri del genere in Sicilia e nel sud Italia ce ne sono a migliaia. Solo che alcuni sono avvenuti, altri sfiorati, altri ancora annunciati. Le case di cartone costruite ai bordi di colline pericolose, ai bordi di un fiume in secca, sono insieme, causa, effetto, e simbolo dell'intricata realtà che si vive in molte zone d'Italia.
Io vengo da un paese di circa 42mila abitanti, tra Trapani e Palermo: Alcamo. Sta a 5 chilometri dal mare. 5 chilometri con una macchina sono circa 7 minuti, con un motorino 10. Per chi sta in una grande città, questo significa che Alcamo è vicina al mare. Nel dopoguerra, però, gli abitanti del paese pensavano che no, non erano affatto vicino al mare. Cominciarono a costruire, quasi tutti abusivamente, delle villette sulla spiaggia. Negli anni 50 il golfo di Castellammare doveva essere uno spettacolo. Una spiaggia di sabbia fina e gialla che fa un arco per 10-15 chilometri, circondata da dune e pinete. In quarant'anni circa, di questo paradiso non è rimasto niente. Chi guarda Alcamo Marina vede un tappeto di case costruite alla bell'e meglio che nascondono quasi con vergogna la costa: dalla sabbia alle colline circostanti. Per lunghi pezzi di strada percorri la statale e non vedi il mare, che sta a meno di 50 metri da te. Quasi tutte le case scaricano ancora i liquami in acqua, nonostante una legge imponga il pozzo nero. Nel corso dei decenni interi quartieri sono stati sanati.
E ogni tanto, arriva dal cielo un'alluvione e le case dalla collina vengono giù. La prima alluvione che ricordo avvenne nel '96, mi sembra. Era agosto, tornavo da un campeggio in un posto turistico sulla costa, e mi vidi davanti agli occhi Alcamo Marina invasa dal fango. La gente spalava. Pensavo che quelle robe potessero succedere solo al Nord, dove piove tanto e hanno fiumi grandi.
Nell'ultimo decennio, le frane sulle colline di Alcamo Marina si sono succedute con frequenza. Fiumi di fango scendono giù verso la statale. Lo scorso anno qualche casa dalla collina è scivolata verso il basso, travolgendo e distruggendo le case sottostanti. Per fortuna, sono state alluvioni fuori stagione, quando la zone è disabitata o quasi. Si, perché Alcamo Marina è un paese fantasma per 9 mesi l'anno, ed è proprio questo il punto. Ventimila persone si trasferiscono ogni estate in migliaia di case sulla costa, per restarci il tempo dei bagni e del sole. Circa la metà della popolazione locale.
Alcamo Marina andrebbe rasa al suolo e la costa restituita alla bellezza. Ma una persona su due, un residente su due, un elettore su due, ha una casa ad Alcamo Marina. Si è creato un mostro da cui la maggior parte di persone traggono interessi (fossero anche solo quelli di andare in spiaggia senza prendere la macchina). E' così anche ad Agrigento, a ridosso o dentro la Valle dei Templi, era probabilmente così anche a Sarno, in Campania, e chissà in quanti posti in Calabria, che vedo devastata in certi tratti di costa, quando passo col treno.
E però le case vengono giù, i paesi si sgretolano, le persone muoiono. Guardo le immagini di Messina e mi viene in mente la favola dei tre porcellini. Paglia, legno e mattoni. I mattoni costano più soldi, più tempo e più fatica. Ma sono gli unici che reggono. Mi chiedo quando si comincerà seriamente a usare i mattoni per sostituire paglia e legno dove è possibile e per costruire sicure le nuove basi delle nostre città.

Ps: l'alluvione di Messina si fa tristemente beffa dell'ipocrisia della politica e dell'informazione italiana. Tre settimane fa è stata rimandata la manifestazione per la libertà della stampa a causa della morte di 6 soldati italiani in missione in Afghanistan. Una morte che sta tra i rischi di chi va a lavorare in posti di guerra. Il paese è stato forzatamente bloccato. Oggi 50 persone rimangono senza vita sotto il fango in Sicilia, in una tragedia improvvisa e impressionante. Nessuno si fermerà, nessuno ha messo in conto la possibilità di bloccare la manifestazione per solidarietà. I morti di Messina hanno il torto di essere arrivati dopo i soldati. La solita solfa, insomma. E non possiamo rimandare tutto ogni volta che succede una tragedia.