venerdì 29 gennaio 2010

Monte Sole



La strage di Marzabotto, conosciuta anche come l'eccidio di Monte Sole, è uno di quei grandi eventi del passato che ti capita di sfiorare a volte nella vita, per qualche attimo. A Marzabotto, vicino Bologna, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 furono trucidate quasi 800 persone dalle truppe naziste. In maggioranza, donne, bambini e vecchi.
Nel 2003, ero a Bologna, alla Festa nazionale dell'Unità. Per conto dell'Unità Online (presso cui stavo facendo uno stage) dovevamo portare la gente in un "Videobox" per raccogliere opinioni sul tema del giorno, da trasmettere via web. Le persone non avevano molta voglia, quindi all'ennesima richiesta di darci da fare che veniva da Roma, decidemmo di andare da Maometto come la montagna. Costruimmo un finto schermo televisivo col polistirolo, ci scrivemmo sopra Videobox, e andammo in giro per la festa. Bloccavamo le persone, gli facevamo reggere lo "schermo", come fossero dentro una tv, e li riprendevamo mentre rispondevano alle nostre domande demenziali. Una ad esempio era: "Ma Berlusconi ci è o ci fa?".
Un pomeriggio, durante la nostra videoronda, fermiamo un vecchio dall'aria gentile e impacciata. Ha la faccia leggermente rotonda, gli occhiali con la montatura vecchia e i vetri leggermente oscurati. Assomiglia a Giovanni Rana, quello dei tortellini.
Gli consegniamo il nostro polistirolo-tv, accendiamo la videocamera e facciamo la domanda: "Berlusconi dice che il fascismo non ha mai ucciso nessuno, che al massimo mandava qualcuno al confino. Cosa ne pensa?". Il vecchio comincia a parlare con indignazione. Nelle sue parole non c'è ironia. Mi accorgo che le sue mani tremano leggermente. A un certo punto, inizia a raccontare di Marzabotto. Lui era lì. Sopravvissuto per poco. Bambino, e tutta la sua famiglia sterminata.
Ha le lacrime agli occhi per la rabbia, stringe forte il polistirolo, che quasi si spezza. Io mi vergogno della situazione ridicola, del contesto sciocco in cui lo sto riprendendo mentre riporta il dolore di quei giorni ad oggi. Aspetto che finisca. Spegniamo la videocamera. Rimaniamo a parlare della strage. Mi colpisce soprattutto il senso di rabbia che mostra per l'umiliazione del non essere creduti in quei giorni. La strage apparve così efferata, così disumana, che anche nella vicina Bologna in pochi ci credettero. Il Resto del Carlino parlò addirittura di voci false messe in giro irresponsabilmente. Cancellati due volte, dalla terra e dalla memoria, si erano sentiti i sopravvissuti. Poi il vecchio mi da una serie di cartoline, una attaccata all'altra, come quell che vendono nei posti turistici, che si aprono a fisarmonica. Sono brutte foto di un brutto monumento. Ma questo non importa, è il sacrario dei caduti di Marzabotto. Il vecchio me le regala con orgoglio e mi prega di raccontare quella storia.

La storia di Monte Sole lasciatevela raccontare da un bellissimo film che ho appena visto al cinema. Si chiama L'Uomo che verrà, il regista è Giorgio Diritti. C'è la vita contadina dentro, e la morte senza appello. E poi la vita che, con inspiegabile tenacia, riprende il suo corso.

martedì 26 gennaio 2010

Pernacchie pugliesi



Fine settimana di grande intensità nella lontana provincia apulo-salentina.
Innanzitutto, il primo compleanno di mia nipote Cunegonda Obama(*) che non solo ha retto brillantemente lo stress della festa rutilante e chiassosa ma ha anche trovato il modo di pronunciare il nome di suo zio bradipo (cioè il sottoscritto), in una forma appena appena distorta (**).
L’altro fatto è la pernacchia delle primarie per la scelta del candidato de sinistra per la regione Puglia, che si è levata sonoramente verso i vertici del PD. Io con una scelta un po’ sentita un po’ conformista ho votato per Nichi (ormai il cognome non si pronuncia più), nonostante il partito destinatario della pernacchia sia il mio. Per un’analisi compiuta sull’evento vi prego di leggere l’articolo di Adriano Sofri su La Repubblica di oggi. Io voglio occuparmi dei protagonisti.


Nichi Mendola. Ha avuto il coraggio di accettare la sfida e l’ha portata avanti nonostante la leggerezza della propria formazione politica (Sinistra Ecologia e Libertà) e la preoccupante presenza degli stessi che lo volevano scorticare vivo dopo la scissione (Rif.Com.). È apparso sempre tra due ali di folla osannante, al fianco di giovani e di simpatiche vecchine. Il suo ecumenismo è proverbiale, almeno quanto la sua capacità di coinvolgere. Personalmente, mi commuovo sistematicamente sentendolo parlare (in un comizio a Lecce 5 anni fa sono quasi arrivato alle lacrime) salvo poi sentirmi un cretino completo, influenzabile esattamente come i cittadini di Springfield nella puntata simpsoniana della monorotaia. Ma anche questa è una dote di Vendola, da non disprezzare. Forse d’ora in poi dovrà prestare altrettanta attenzione al resto.


Francesco Boccia. La sua vocazione al martirio è pari quasi alla sua incapacità di provocare interesse per quello che dice. Merita più rispetto dei soliti “solòni” che si tirano indietro sempre un minuto prima che la battaglia cominci. Ma per il suo bene dovrebbe smetterla di farsi mettere in mezzo.


Rocco Palese (candidato del PDL). La dimostrazione che la costanza premia. Anche se il suo atto politico di maggior rilievo è stato togliersi la scarpa nell’aula del consiglio regionale e sbatterla sul banco in segno di protesta (giuro che è vero). Però ha molti più capelli di Kruscev.


Il PD. Il contrario dell’esercito della via Paal: tutta truppa, senza ufficiali (tanto che si cerca in altre formazioni).


(*) Scusate la digressione familiare ma non si diceva forse che “il privato è politico”?
(**)In realtà non ci sono prove che la parola fosse esattamente “pe-pe”; anzi è probabile che fosse “pappa”…

mercoledì 20 gennaio 2010

Zoro

A dimostrazione che la politica non ha bisogno necessariamente di paroloni, Zoro (alias Diego Bianchi) ci spiega come stanno le cose



Via Craxi


Ma insomma, il problema non è se Craxi fosse un pezzo di merda o no. Probabilmente, era anche una persona molto umana. E politicamente, da capo del governo ebbe coraggio e fece – insieme a scelte sbagliate – anche diverse cose giuste e apprezzabili.

Il fatto è che Craxi, all'apice del potere, quando rappresentava le istituzioni repubblicane, rubava. Rubava per il suo partito, e qualche soldo finiva in tasca pure a lui. Era al centro di un sistema di clientela e corruzione. Mazzette. Persone scavalcate da altre persone brave a ungere gli ingranaggi. Stiamo parlando delle questioni che appestano il paese e gli impediscono di diventare una democrazia matura e compiuta.

Di fronte a questo, che abbia avuto il coraggio di assumersene le responsabilità davanti al parlamento (ma attenzione, non davanti ai giudici, e questo non è un dettaglio) – e che attorno a lui ci fossero uomini ben peggiori che adesso governano o siedono alle camere, non ha alcuna importanza.

Le istituzioni repubblicane – in primis Napolitano – non possono celebrare né assolvere formalmente una persona che nell'atto di rappresentare il paese ha fatto il suo interesse con metodi illegali, calpestando i diritti di tante persone.

Purtroppo, è invece quello che sta succedendo in questi giorni.

domenica 17 gennaio 2010

D’Alema, non ci pensare!

Durante un incantevole pranzo sabatino multiregionale, ci troviamo (sfiancati da pasta e patane, arancine, seppie ripiene e patate allo sfincione) a discutere con il buon Brad del solito annoso problema. Radicalismo o riformismo. Declinato al presente: Perché anche per le elezioni pugliesi quelli del Pd devono per forza buttarla in burletta. "Vendola no! Bisogna trovare un'alternativa che invogli l'Udc ad allearsi con noi. Emiliano, no Emilano è sindaco e non si vuole dimettere, allora Boccia. Candidiamo Boccia alle primarie contro Vendola! Boccia si, Boccia no, Boccia forse, Boccia no… e alla fine Boccia si".

Ok ok, premesso che sia io che Brad alle primarie pugliesi voteremmo Vendola, riparte lo scontro sul vero facitore della matassa: lui, Massimo D'Alema.

"E' il cancro della sinistra!" grido io, trattenendo i ruttini postpranzo. "E allora andiamo tutti con Ferrero (segretario di Rifondazione ndr) a distribuire il pane a un euro!", ribatte ironico Brad, mentre si versa l'ennesimo cicchetto di limoncello.

Il dibattito avanza, le facce si arrossano, tra un "E' da vent'anni che ci rovinano con le loro mosse intelligenti" e un "barricati a sinistra non vinceremo mai".

Io trovo finalmente una metafora che – almeno nella mia testa – mi chiarisce tutto. E la declamo, con la pancia in allarme per il troppo cibo ingoiato:

"Il Pd con la vittoria è come quel ragazzo che non tromba da troppo tempo. Tutti gli dicono, e hanno ragione, non ci pensare che arriva. E invece lui ci pensa, ci pensa sempre, le ragazze lo percepiscono, e alla fine non tromba mai. E il Pd è così con la vittoria. Sta sempre a pensare a come vincere, a quale strategia fare per vincere, ed è così concentrato sulla vittoria a tutti i costi, che la gente se ne accorge e non gliela dà, la preferenza".

Dunque, non rimane che dargli un unico, decisivo, consiglio:

D'Alema, non ci pensare!

martedì 12 gennaio 2010

Celebrità di Serie D (campionato nazionale dilettanti)


Si sa, il lunedì ha un brutto carattere. Vale la pena assecondarlo piuttosto che insultarlo inutilmente e può anche regalare qualche piacevole sorpresa.

L’avvenimento più importante del lunedì calcistico a casa mia è stato il servizio televisivo sulla partita Cinthya – Gaeta, valevole per il girone G del campionato nazionale dilettanti (Serie D). Il Gaeta consolida il secondo posto in classifica (34 punti conquistati) andando a vincere per 3 – 1 sul campo del Cynthia Genzano, altra squadra laziale. La trasmissione di ReteOro è preparata esattamente come le colleghe delle reti nazionali: il presentatore, la valletta, i giornalisti esperti, i calciatori esperti, gli allenatori esperti, quello che dice stupidaggini. Solo si avverte che si tratta di una versione minore dalla scenografia anni ’80, dal fatto che la valletta è bruttarella, il presentatore ha il riporto, il giornalista esperto ha un collo della camicia altissimo e il nodo della cravatta minuscolo e tutti gli altri ospiti hanno seri problemi con l’italiano (più della media dei calciatori di serie A). Ma sono rimasto a guardarli per almeno un’ora, con sincero trasporto e coinvolgimento (ho anche inviato un sms ad un amico per suggerirgli di guardare il servizio sul Gaeta...).

Cambio canale e su SuperNova trovo un altro classico delle TV locali: il simpaticone che va per locali (soprattutto seguendo il trinomio cibo-alcol-fygha) con la telecamera e interviste tardo-situazioniste. Il più famoso di Roma è quello che si congeda dicendo “bella frate’, a frappè” mentre guarda nella scollatura di una virtuosa della lapdance. Ieri sera invece ce n’era uno di seconda fila, conduttore di una trasmissione che già dal titolo – Blablablà – prometteva bene, che aveva imbastito l’intero suo canovaccio su una festa di compleanno di tale Marino (il cognome non importa), direttore di un giornale localissimo, in un locale di Roma famoso negli anni ’60 e ’70. E si capiva anche il motivo di tale scelta, visto che tutti gli intervistati avevano ormai superato il ragguardevole traguardo dei tre lifting e delle mille lampade. Tutti si professavano amici del tale e approfittavano per reclamizzare la propria attività (organizzatore di feste, maitresse in un bagno turco, notaio dei pacchi su Rai1, cinquantenne appena divorziata in cerca di divertimento).

Non sembri snobismo il mio, mi sono realmente divertito a vedere questa umanità e ho capito che siamo tutti vittime (e insieme carnefici) di una narrazione collettiva in cui un modello di affermazione sociale viene replicato a tutti i livelli. Che senso avrebbero altrimenti le trasmissioni sportive e gossip di quartiere se non nell’ottica del disperato tentativo di uscire dall’anonimato, di costruirsi un’immagine sociale vincente.

Siamo tutti coinvolti in questo, anche tra i frequentatori di questo blog. Tanto che domenica all’aeroporto di Fiumicino il maestro Cipputi (cintura arancione di Tae-Kwun-Fru) è stato accolto a sua insaputa da un’orda di fan armati di cartelli e spumante neanche si trattasse di un calciatore o di una velina.
Che tempi, signora mia, che tempi!