
Stavo per andare a un appuntamento con un amico, sotto il sole delle 4 di pomeriggio di una Roma silenziosa di ponte. Arrivato a Piramide ho deciso di fare una piccola deviazione - che l'amico mi perdoni - e mi sono concesso una visita che promettevo a me stesso da tempo. Sono entrato nel cimitero acattolico, che si trova proprio alle spalle della piramide di Porta San Paolo. Il
cimitero acattolico di Roma è un luogo speciale, fu costruito fuori dalle mura romane perché il papa non permetteva che nel suo territorio riposassero le membra dei miscredenti. Qui riposano atei, protestanti, ortodossi, e uomini e donne che probabilmente non si sarebbero sognati di descriversi in base alle proprie credenze. L'atmosfera è serena e speciale. Tanti turisti, tutti stranieri, si aggirano alla ricerca delle tombe dei personaggi famosi che deciserò di farsi seppellire qui. Mi sono avviato tra le tombe. Su un pratino inglese che guarda la piramide, qualcuno stava appoggiato ad un albero a piedi scalzi, qualcuno addirittura leggeva. Era riconciliante la sensazione della morte come parte di un processo senza fine, lontana dagli strepiti e i lancinanti vuoti del lutto cattolico. Mi sono fermato davanti alla tomba del poeta inglese John Keats. Sulla lapide è inciso:
“Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua” . Ho continuato fino a d arrivare al sepolcro dello scrittore Percy Shelley. Sulla lapide alcuni versi di Shakespeare:
"Nothing of him that doth fade/But doth suffer a sea-change/Into something rich and strange". Accanto a lui, su una umile lastra di pietra poggiata tra le piante, il poeta Beat Gregori Corso, che visse i suoi ultimi anni come barbone a Roma, ci dice:
"Spirit / is Life / It flows thru / the death of me / endlessy / like a river / unafraid / of becoming / the sea".
Ho continuato a passeggiare, passando davanti alla tomba del figlio di Goethe, diretto alla mia vera meta: le ceneri di Antonio Gramsci. Avvicinandomi, mi sono accorto che il silenzio placido del cimitero era rotto da schiamazzi di giovani. Stavano facendo delle foto alla tomba di Gramsci. Ho pensato che si trattasse dei soliti adolescenti insulsamente comunisti, senza uno straccio di capacità di autocritica. Era peggio. Davanti la piccola urna che conteneva le ceneri di Gramsci, attorniata da corone di fiori lasciate lì dai rappresentanti dei partiti italiani di centrosinistra, un gruppo di adolescenti dark. Travestiti come manga di un fumetto dell'orrore. Due ragazze, di cui una grassissima, vestite da serve, con tanto di grembiulino, si abbracciavano sensuali a pochi centimetri dalla tomba. "Perché ve dovete fa' na foto co questa tomba?", gridava uno di loro, capelli sparati e collane e anelli. "Perché qui fa arternativo, no?" e giù a ridere. Io avevo voglia di fulminarli con lo sguardo, di parlargli di rispetto. Poi, un po' per non sentirmi vecchio e bigotto, e un po' per non dargli la soddisfazione del mio sguardo scandalizzato, ho fatto finta di niente. Ho aspettato che si scostassero appena e mi sono piazzato davanti all'urna, quasi a volerle fare da scudo contro quella mandria di decerebrati. Li ho sentiti allontanarsi dicendo "Dai, facciamo quarche artra foto brutal - aò, stasera se n'annamo ar Diabolika"...
In silenzio ho guardato la piccola scatola di pietra con su scritto "Cinera Antonii Gramscii". Ho pensato a lui, a Pasolini, poi di nuovo a lui, morto dopo vent'anni in una carcere fascista, con un sogno di giustizia nella testa. Ho pensato alla scomparsa della sinistra dal parlamento italiano, ho tentato invano di soppesare l'utilità della morte di Gramsci e delle sue idee. Mi sono abbassato, ho sfiorato l'urna, sentendo la polvere della pietra fissarsi sui miei polpastrelli. Non potevo credere al vuoto mascherato di quel gruppo di ragazzi, al disprezzo di quel luogo, di quell'uomo, ridotto a sfondo per il proprio ego modello youtube. Sono uscito dal cimitero, attonito e incredulo, e mi sono incamminato. Fuori posto fuori fuoco, investito dal sole accecante di Roma di maggio. Poi è passato l'autobus, sono salito, e ho guardato l'orologio.