sabato 22 dicembre 2007

bianco, Russo e Berluscone

Per carità, siamo uomini e donne di mondo. Sappiamo come vanno le cose, mica veniamo dalla montagna del sapone. Però la telefonata più famosa degli ultimi giorni – quella tra Berllusconi e Saccà- non può lasciare indifferenti.
Ispirato dalla piaggeria di Saccà, la finta modestia del Silvio, la sua sufficienza nel rispondere alle lusinghe del direttore di Rai Fiction, le accuse di deficienza mandate a destra e manca, Federico Barbarossa e suo cugino Umberto Bossi, la “operazione libertà” per comprare senatori e far cadere il governo, sono andato a vedere i siti delle due attrici raccomandate da quel vecchio provolone di Silvio al fido scudiero. Quello di Elena Russo ti accoglie con una musichetta terribile che riproduce “Tu si’ na cosa grande pe me” in versione midi, tipo karaoke, con foto come questa (delicatissima direbbe Christian De Sica) e un frase che recita testualmente: “Nella vita di un attore è importante come cresci, così ti formi! Scambi UMANI e professionali concorrono a formare un bagaglio”. E ho capito due cose: che il bagaglio di Elena è evidentemente grande; e che il sito glielo ha pensato e scritto Checco Zalone (o Mariano Apicella)

venerdì 21 dicembre 2007

Natale per sempre

Appena arrivato in Sicilia per trascorrere le vacanze di Natale con famiglia e amici. Vi terrò informati sull'evoluzione sferica della mia panza. Mi sono messo davanti al computer e mi sono detto che mi toccava scrivere il rituale post sul Natale. Solo che non mi va proprio di scrivere la solita cagata sulla magia del Natale (gingombél), e meno che mai la ancor peggiore cagata sul consumismo e la fretta e lo stress (blablablà).
Dunque, spremendo le meningi sulla parola "Natale", mi è apparso appunto davanti agli occhi Natale. Però, un altro Natale, il protagonista del film Mery per sempre.
Il film di Marco Risi (1989) è un cult per i siciliani della mia generazione, e forse non solo per noi isolani. Parla di un professore del nord che va a insegnare nel carcere minorile di Palermo e si confronta con la terribbbile realtà sottosviluppata e mafiosa dei ragazzi carcerati.
Il film è fonte di battute e citazioni epiche, come le seguenti:

"La mafia è bene, la mafia è giusta" (Natale)
"Un ci 'a rugnu a manu a li sbirri" (Pietro)
"Io non sono né carne né pesce... io sono Mery, Mery per sempre" (inutile dirlo)

Cosa c'entra col Natale? Beh, a parte il nome del protagonista, volendo anche il titolo del film potrebbe rimandare all'eternità della Vergine. E poi, come il testo bliblico, Mery per sempre abbonda di violenza, peccato, espiazione. Nonché di sfighe e maledizioni: un numero di attori del film, che adesso non ricordo, in seguito morì o finì in carcere, tanto da far parlare della maledizione di Mery per sempre. Non manca la maddalena, seppur con tacchi a spillo e peli sul petto. C'è pure la figura del messia (il professore) volontariamente venuto dall'alto (il nord) per salvare i peccatori (i carcerati).
E se ancora non vi avessi convinto, come nel sacro testo cristano, c'è l'aspetto profetico.
Troviamo tutto il rapporto utilitaristico e primo di emotività dei giovani di oggi col sesso - svelato vent'anni prima dei video porno sui telefonini - nell'aria di normalità con cui Pietro spiega al professore cosa ha fatto all'assistente sociale shoccata:

"Nenti... ci tuccavu u sticchiu"

...Ed è subito cult.

l'abito, il monaco, la rivoluzione


Il giorno stesso in cui ho firmato la lettera di stage è cambiato qualcosa.
Quel giorno sono arrivato nella sede della bradipo-società vestito come al matrimonio di mio fratello: giacca nera, camicia bianca, cravatta rosso fuoco (piuttosto appariscente), scarpe con tacco rumoroso. Ad un certo punto, Catia (giovane co-masterizzatrice e co-stageur) mi intima di togliere il piercing dall’orecchio, dicendo “ma sei matto?! Togliti subito quel coso dall’orecchio!”.
All’inizio, da bravo bradipo progressista, vivevo il cosiddetto dress code come una costrizione, di cui liberarsi non appena possibile. Cosa sono –mi dicevo- queste formalità inutili, questi orpelli borghesi per mascherare spesso il vuoto?
Poi mi sono reso conto che quegli abiti, ancorchè arraffazzonati e sgualciti, stavano diventando una vera e propria divisa, dentro la quale sentirsi più sicuri, più a proprio agio. Una volta, mentre facevo la fila in una Asl della periferia della metropoli, due vecchiette volevano farmi passare avanti, incredibilmente messe in soggezione da una cravatta dell’Oviesse (9,90 €). Si può pensarla così? Non saprei. Se mi fermo a pensare mi rispondo che è una stronzata, che sono distorsioni della realtà.
Poi mi sorprendo a guardare alcune vetrine, con l’intento di emulare gli esseri che mi circondano: vestito grigio antracite, camicia (preferibilmente) bianca, cravatta blu magari a righe, scarpe nere con taglio alla francese. Loro sono state le ultime. Non mi sentivo abbastanza bradipo-consulente senza le scarpe à la francais. Ce le hanno tutti, potevo essere da meno?
Le ho comprate. Non le più care, ma le ho comprate. E quando sono andato in ufficio ero soddisfatto, anche se per colpa loro avevo delle stimmate ai piedi e visioni mistiche, tipo arcangelo gabriele. Unica concessione eccentrica: i calzini a righe, però intonati a camicia e/o cravatta.
È tutto molto decadente ma sono sincero.

P.S. (per i lettori più affezionati) è solo un camuffamento. Quando Berlinguer apparirà in televisione – come profetico diceva Cioni Mario- mi farò trovare pronto per la rivoluzione.

sabato 15 dicembre 2007

Proust e i mattoncini

Quell’odore che riconosceresti fra mille si univa ai rintocchi del pendolo. E lei con il suo passo svelto, deciso ma tenero, con quelle ciabattine con la parte posteriore ripiegata in avanti, “percè su cchiù comote”, t’infilava furtivamente nella mano sinistra delle banconote che con un gesto repentino e insospettabile apparivano talvolta dalla manica sgualcita dove conservava il suo fazzoletto, dalle tasche ormai consumate del damantile o più semplicemente dagli strati di maglie che si poggiavano sul suo petto. La frase di rito era la stessa per tutti: “quisti cu te ba catti nu gelatu” anche se eravamo in pieno inverno e con due pinguini attaccati alle caviglie. E poi quel gelato io me lo prendevo veramente! “Ce te possu dare beddhra mia?” incalzava…rifletteva…ed io trepidante aspettavo l’uscita di quella ciotolina, sempre la stessa, nella stessa credenza. Intravedo la carta dorata, metallizzata, che si rifletteva nei suoi occhi ormai stanchi. La mano sprofondava in quei piccoli mattoncini di cioccolata al latte o fondente, quelli inconfondili con la cupoletta e della misura giusta perché si sciogliessero fra il palato e la lingua. E andavi via con le tasche piene fino all’arrivo a casa, quando la mamma ti perquisiva stile servizi segreti, per centellinare quei deliziosi mattoncini in interminabili mesi. C’erano giorni invece che con amarezza quel luccichio di carte riflesso nei suoi occhi diventava diabolico, rossastro, lo avevo imparato a mie spese; i mattoncini si erano trasformati in cupolette più alte con all’interno ciliegina e liquore, di cioccolato fondente, rivestiti di rosso intenso. Li riponevo nella tasca ma solo per il principio secondo cui “ nu se lassa mai nienzi” e fra lo sguardo stupito della mamma -e anche un po’ deluso per non potermi ispezionare- li poggiavo sul tavolo dell’ingresso, bruscamente, spontaneamente. Quelli erano i cioccolatini dei grandi.
In queste occasioni in cui Lucifero s’impossessava dei suoi occhi, mi riversavo sulla ciotolina del salotto piena zeppa di caramelle alcune gialle, con un cuore dolcissimo di miele: le fantastiche caramelle ambrosoli; le seconde rosse con una forma rettangolare, le Rossana, buone ma soprattutto utili per giocare alla vista bionica, salvo poi ritrovarmi vicino lo specchio con un bozzo nella guancia destra e rudimentali occhiali con lenti rossastre.
Ed ancora tutto questo è nitido, come se fossi lì davanti a lei e lo è ogni volta che assaggio una di queste prelibatezze. Proust alla fine non ha detto nulla di nuovo. Questo Natale farò la scorta, certi momenti non si rivivono più o forse si possono rivivere all’infinito (fino a fine produzione, ovviamente).

lucyinthesky (lucì-dans-le-ciel)

venerdì 14 dicembre 2007

Xmas Party


È strano alzarsi la mattina dopo il Christmas Party. A parte la faccia mostruosa, gli occhi rossi, e la voglia di trapassare piuttosto che andare a lavorare, una volta arrivati in metropolitana (faticosamente raggiunta spingendo le vecchiette sulle scale) si prova una sensazione di spaesamento, di confusione.
Riaffiorano i ricordi della sera prima, fatti di sorrisi, battute, goliardiche passeggiate e panini notturni. Se sei la penultima ruota del carro, però, a un certo punto ti rendi conto che quelli che la sera prima ti sembravano suppergiù degli amici, sono le stesse persone che ti giudicano, ti fanno tirar tardi, ti mettono ansia. Insomma, sono i tuoi bradipo-tiranni, ansiosi e numerosi come i livelli che ti mancano per diventare amministratore delegato. Non li ho mai contati, ma confido veltronianamente in JFK che diceva “Un lungo cammino inizia sempre con un piccolo passo”. O forse era Mao Zedong? Bah, dev’essere ancora l’effetto del vino…
Insomma, queste feste magari le conoscete: gente in giacca e cravatta, donne in balconcino (anche qualora ben dotate) e quella inestirpabile sensazione di competizione che aleggia anche quando si scherza. Forse è una mia paranoia.
Non è (solo) un problema di persone –evidentemente, c’è chi è più o meno competitivo, la lista sarebbe variegata- ma è una mano invisibile che guida verso questa direzione.

martedì 11 dicembre 2007

Un Parapendio di cazzate!


La stessa sera in cui io e Brad siamo andati a vedere Zingaretti che recitava, con noi c'era l'amico Giulio. Tra una chiacchera e l'altra, sfodera - come se si trattasse di un'informazione da poco - che il fine settimana precedente è stato a fare parapendio (una specie di deltaplano) con Adriano Pappalardo. Proprio così! E' arrivato nel punto di lancio e si è trovato per caso il cantante pronto per volare. Sono partiti insieme, mentre Giulio cantava non senza vergogna "Ricominciaaaaamo" nel blu dipinto di blu, e - meraviglia delle meraviglie - sono atterrati insieme in uno sperduto campo di grano. La situazione, assolutamente surreale, supera per folle ilarità i migliori pezzi di Maurizio Milani. Dunque, per emulazione, elenco di sotto alcuni miei ricordi del passato, a cui il lettore non è costretto a credere fino in fondo.

- Tempo fa, a un funerale di una mia vecchia zia, ho incontrato Larry Mullen Jr., il batterista degli U2. Mi sono avvicinato e ho scoperto che aveva conosciutio mia zia un'estate dell'84 in un campeggio di Maratea. Mi ha detto che non piangeva così dal funerale del cantante degli Inxs, di cui al momento ci sfuggiva il nome a tutti e due.

- Ero al concerto dei Tokio Hotel con un gruppo di amici. A un certo punto, mi passano una canna, faccio due tiri e la faccio girare al tizio che avevo a destra. Era Giorgio Napolitano. Prima che aprissi bocca, mi ha detto: "Ti prego non parliamo di politica proprio ora che stanno attaccando con Istant Karma, che è il mio pezzo preferito".

- Sono entrato da un barbiere sull'Appia Antica che mi avevano consigliato perché costa poco. Non c'era nessuno e mi sono accomodato. Solo verso la fine del taglio, mi sono accorto che il barbiere era Marco Predolin. Gli faccio: "Ma cosa ci fai qui, tu che hai fatto la storia della televisione commerciale italiana?". Mi ha risposto: "Arrotondo, perché mi devo comprare l'IPod da 60 giga con lo schermo grande", che è una risposta più che dignitosa. Ho pagato e ho salutato. 12 euro per taglio e shampoo, mica male. Certo, Predolin, la prossima volta la ricevuta puoi anche farmela.

- Lo scorso marzo, io e un paio di amici, ci siamo persi nella foresta più grossa del Nicaragua. Nessuno ne parla mai, ma posso giurare che il Nicaragua ci ha delle foreste tra le più grosse del mondo. Dopo due giorni di girare a vuoto, troviamo una capanna di fango e paglia in mezzo alle mangrovie. Entriamo con circospezione, e troviamo Licia Colò che si sta truccando per andare a una festa dai vicini. Gli faccio: "Ma scusa, ma se non c'è un'essere umano per centinaia di chilometri!". Mi ha risposto: "Infatti, la festa è tra un mese". E Licia Colò non è un tipo che improvvisa. (Omaggio a M. M.)

PS: Oh voi che leggete, postate i racconti più assurdi dei vostri amici megalomani... quelli che cominciano con "Giuro, non è una cazzata...", ma evidentemente lo è.


venerdì 7 dicembre 2007

Commissari, anarchici e alieni


"Abbiamo lottato cent'anni per migliorare la vita di un lavoratore di un quarto d'ora... e poi lo uccidiamo?" (Pietro Ingrao)


Ieri sera, me and Brad, siamo andati con spirito governativo e unitario a vedere uno spettacolo all'Auditorium di Renzo Piano. Si trattava di " “Passa una vela… spingendo la notte più in là”, una lettura di Luca Zingaretti tratta dal recente libro del giornalista Mario Calabresi, sul tema del dolore dei parenti delle vittime del terrorismo, e in particolare del suo nei confronti del padre, il commissario Calabresi, ucciso nel 1972. Lo spettacolo è stato utile. Per una volta, mi si conceda mettere al primo posto la parola "utile", rispetto a "Bello". Perchè è servito a mettere una toppa su uno strappo lungo 35 anni. Quello che mi ha colpito di più è sapere che Luigi Calabresi e Giuseppe Pinelli, l'anarchico precipitato dalla finestra del commissariato di Calabresi durante un lungo interrogatorio (nel '69), non fossero due estranei. Durante un Natale, Pinelli aveva regalato l'Antologia di Spoon River a Calabresi, e Marco Pannella giurò di aver passeggiato insieme ai due qualche anno prima della tragedia. Se c'è una cosa dolorosa e inaccettabile nella violenza del terrorismo e delle bombe di stato di quegli anni, è proprio questa: che allontanò e rese aliene persone che aliene non erano. Vite che, pur non abbandonando il proprio ruolo (Calabresi era un commissario, Pinelli un anarchico), facevano parte dello stesso mondo. Forse quegli scoppi, quegli spari, stanno alla base della frattura che divide l'Italia. Un'immaginaria linea di confine, arzigogolata e impossibile, che passa in mezzo a paesi, quartieri, amicizie, famiglie, e persino dentro i nostri stessi cuori, e che ci rende impossibile essere avversari dentro la stessa partita.

giovedì 6 dicembre 2007

fabbrica di morte

Nel 2007 si muore ancora in fabbrica. All’alba Antonio Schiavone, 36 anni di Cuneo, è morto per un incendio in una fabbrica siderurgica di Torino. Lascia una moglie e tre figli, l’ultimo di pochi mesi. Altri sei operai sono in condizioni gravissime. Pare che le condizioni di sicurezza non fossero adeguate. Non so cosa aggiungere ma tutto questo mi sembra ingiusto e cattivo. Tutte le volte che ci lamentiamo del nostro lavoro dovremmo fermarci.

mercoledì 5 dicembre 2007

Super-Faust?


In questo blog si parla solo incidentalemente di politica. Ma a volte resto confuso di fronte ad alcune dichiarazioni.
Spiegatemi, per esempio, perchè il presidente della Camera dei Deputati dovrebbe intervenire così pesantemente contro il governo. Su, spiegatemelo! Penso che neanche l'amico operaista Cipputi stavolta riuscirà a spiegarselo.
Non entro nel merito delle argomentazioni, che potrebbero avere un loro fondamento e hanno sicuramente legittimità. Ma mi chiedo perchè le stesse parole non poteva pronunciarle il segretario di Rifondazione piuttosto che il suo leader carismatico.
Neanche Casini ha fatto qualcosa del genere, perchè Bertinotti (nella foto durante un importante appuntamento istituzionale) ha sentito l'esigenza di rompere la prassi di garanzia per cui il presidente di uno dei due rami del Parlamento (terza carica dello stato, dopo Napolitano e Donadoni) non esprime direttamente opinioni così devastanti nei confronti del governo o di una maggioranza parlamentare. Neanche la Pivetti (mio dio, la Pivetti!) ha mai fatto nulla di così fuori luogo, a parte i foulard verdi e le croci vandeane, durante la sua presidenza.
Capisco le difficoltà di ri-collocamento politico di Rif.Com. ma non mi sembra che questa dichiarazione risolva la situazione. Tu quoque Faust!

lunedì 3 dicembre 2007

Contaminazioni in 11/8

Contaminazione
s. f. 1 il contaminare, l'essere contaminato: contaminazione radioattiva, aumento della radioattività atmosferica o al suolo causato da esplosioni nucleari, da incidenti a reattori di centrali nucleari, oppure dalla lavorazione o dall'uso di sostanze radioattive 2 in un testo, fusione di più elementi di diversa provenienza 3 (ling.) incrocio di costrutti o forme diverse che dà origine a un costrutto o a una forma nuovi.

(cfr. www.garzantilinguistica.it)

Sostantivo dal significato ambivalente, spesso avversato e combattuto (magari con forme linguistiche dispregiative, come lotta al “meticciato”), io dichiaro di essere un appassionato di contaminazioni.
Esse rappresentano il sale della vita e l’unica possibilità di miglioramento ed evoluzione per il genere umano. Un mio amico che raccontava di avventure incredibili durante il suo erasmus svedese (e poi per questo replicato per un altro semestre) mi garantiva che i frutti migliori di quella terra sono il risultato di contaminazioni scandinavo-indiane (o africane, o mediterranee), facendo comprendere di parlare con cognizione di causa.
Per questo mi piace 11/8 records, un’etichetta musicale indipendente che fa della contaminazione la propria ragione di esistenza, fatta di trombe, fiati, violini ed elettronica, voci nasali di cantanti maghrebini, balcanici e duri accenti salentini.
I progetti musicali e culturali di quest’etichetta (Opa Cupa, Zina, Tax Free, Taranta Virus), diretti da Cesare Dell’Anna ma soprattutto dalla sua tromba, sono degni delle migliori session continentali e speriamo che ci arrivino presto, sempre che lo vogliano.

P.S. il video linkato in basso è girato in un bellissimo paese dell’entroterra salentino, famoso tra l’altro per avermi dato i natali, oltre che per essere uno dei centri gravitazionali di 11/8.



domenica 2 dicembre 2007

CineFuturo



Ieri sera, al telefono con Gianluca, apprendo che ha vinto insieme al fratello il premio speciale della giuria al Torino Film Festival, il primo con la firma di Nanni Moretti. Il film di Gianluca e Massimiliano De Serio s'intitola "L'esame di Xhodi" e parla di una scuola d'arte a Tirana. E' stato premiato nella catogoria "Italiana.doc", la seconda più importante del festival, per "aver saputo raccontare con inconsueta padronanza dei mezzi espressivi la straordinaria, quotidiana esperienza della creazione artistica".
Ecco, è sempre bello quando un amico con cui ha passato momenti felici, ottiene un risultato così importante nell'inseguimento dei suoi sogni.
Con Gianluca condivido ricordi spensierati durante l'Erasmus a Lisbona nel 2002. Come una volta che lo accompagnai di notte a riprendere un pollo nella vetrina di un macellaio, per uno strampalato corto che aveva deciso di girare.
Grazie a Gianlu ho potuto conoscere altri cinefattori più o meno aspiranti, e ho capito una cosa:che nell'arte, le cose importanti le fanno quelli che hanno un'urgenza dentro, che seguono una voce interna.
Non quelli che come prima cosa hanno chiaro in testa che vogliono fare il regista, lo scrittore, l'attore. Ma quelli che vogliono/devono raccontare quella storia - non un'altra - perché non potrebbero fare altrimenti.
E allora questo premio, in un momento di passaggio come può essere quello di un giovane che si avvicina alla trentina, mi ricorda che il coraggio è sempre la via migliore per la felicità.

venerdì 30 novembre 2007


Vi segnalo il sito del mensile siculo-satirico "Pizzino - Un mese di satira spamming con sarde e affucanotizie", promosso da "Scomunicazione"


Con una sorpresa per Cipputi


Nuove sostanze dopanti

(Mark Zuckerberg, creatore di facebook, col suo amico bradipo)

I bradipo consulenti, si sa, lavorano almeno 35 ore al giorno, sebbene contro voglia.
Ieri piccola eccezione: fine progetto, lavoro senza ritardi, quindi qualche mezzoretta libera.
Si potevano impiegare tali mezzorette a leggere le “Confessioni di Sant’Agostino” o le “Confessioni di Lory Del Santo”; invece uno strano virus ha invaso il mio bradipo-ambiente di lavoro. È arrivato sotto forma di mail e ha contagiato tutti. Si chiama Facebook. Fate attenzione è micidiale e contagioso. Per chi non lo conoscesse, Facebook è un piattaforma sul web che consente di creare un proprio profilo, ricercare persone conosciute e gestire i contatti. Addirittura, esiste anche una piattaforma versione professional (Linkedin) più focalizzata sul lavoro.
Poche parole per dire che nel giro di pochi minuti, superate le iniziali diffidenze, siamo stati presi dalla febbre di Facebook, dalla voglia di scoprire quanta gente consciuta c’è sulla rete, quasi fosse uno sfoggio di virilità del terzo millennio, medaglie virtuali di battaglie realmente vissute. Non lo so.
Il manager (bradipo ad honorem) che sembrava un bambino che scopre dov’è nascosto il barattolo di nutella, la collega capitolina che scopre i gruppi registrati del suo liceo, io che scorro tutti i 196 aderenti al gruppo dell’Università della Balzana del Monte, indegnamente frequentata. Un delirio di socialità virtuale.
L’unico baluardo di resistenza era la giovine appulo-siciliana, che come un pettirosso da combattimento ribadiva i suoi reiterati “giammai!” all’invasione Facebook.
Probabilmente, ha ragione lei. A volte ho l’impressione che tutti questi strumenti (compreso questo blog) diano solo l’illusione di comunicare. Utili ma imprescindibilmente incompleti strumenti per mantenere il contatto con persone che hanno percorso un pezzo di strada con noi.
Ora scusate, vi devo lasciare. Hanno appena lasciato un messaggio sul mio Wall.

Busone e il senso della vita


Io di Aldo Busi non so quasi niente. Ad esempio, non ho mai letto un suo libro per intero.
Di lui ricordo poche cose: una frase pronunciata durante una nota trasmissione televisiva, "se mettessi in fila tutti i cazzi che ho preso, faresti due volte il giro del mondo"; Diversi tentativi di affermare che lui è l'unico scrittore italiano vivente; il titolo di un suo romanzo, "Cazzi e canguri".
L'unico libro di Busi che ho preso in mano è "Seminario sulla gioventù" (1984), che è stato il suo esordio. Di questo libro ricordo alcune immagini forti e poetiche, ma all'ennesimo coito omosessuale descritto, ho abbandonato la lettura per noia.
Però, c'è sempre un però, "Seminario sulla gioventù" ha uno degli incipit più belli e folgoranti che abbia mai letto. Per questo lo riporto qui sotto: perché è bello, e perché è l'esempio di come un libro, una passeggiata, una storia d'amore e persino una vita, possano cominciare splendidamente... e perdersi durante il cammino.

«Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo ad un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato».

mercoledì 28 novembre 2007

Taxi driver, parte 2


I tassisti mi hanno stufato.
Per chi di voi pratica Roma quanto dico non è una novità. Nella splendida cornice-della-grande-capitale è difficile riuscire a recuperare un taxi, le attese al telefono –accompagnata il più delle volte da musichette fastidiosissime – rischiano di trasformarti in matusalemme, i costi sono più che doppi rispetto ad altre città.
Una soluzione di buon senso, prevista dal pacchetto Bersani e demandata ai sindaci, è quella di allargare il numero delle licenze e sanzionare qualsiasi pratica volta a limitare la concorrenza (accordi di cartello, prezzi minimi, ecc.). La speranza è che si riesca ad avere maggiore disponibilità di vetture e un prezzo minore, essendo sottoposto alle pressioni della concorrenza.
Il sindaco di Roma (Ualter Ueltroni, come dicevano Ficarra e Picone), dopo il passo indietro dell’estate scorsa, ha deciso di far seguito a questa decisione proponendo l’emissione di cinquecento nuove licenze.
Apriti cielo.
Le ultime notizie parlano di piazza Venezia completamente bloccata, in una città in cui un piccolo incidente può bloccare per ore il traffico nelle ore di punta. Addirittura di un’occupazione del Campidoglio (sede del Comune). Perché? I tassisti protestano come al solito violentemente, mettendo sul piatto della bilancia la loro capacità di far male alla città.
Cosa dovrebbe fare Ualter? Secondo me, mandarli a quel paese.
Più veltronianamente, dovrebbe ascoltarli, blandirli e fare esattamente quanto ha proposto. Niente di meno. Ci vuole un po’ di coraggio. Vedremo.

martedì 27 novembre 2007

Capo-danno

E finalmente arriva la fine dell'anno. O quasi. Io non so da che città o paese venite, ma è probabile che anche per voi questo sia il periodo in cui la famosa domanda comincia ad assillarvi. Si tratta, è ovvio, dell'odioso "Che fai a capodanno?".
Ogni anno, quando torno ad Alcamo per le vacanze natalizie, comincia il supplizio. Qualsiasi persona incontri per strada vuole sapere che faccio la sera del 31 dicembre. Del resto non gliene può fregare di meno. Potresti dirgli che non ti chiami più Laura, ma Mario e che sei stato a Casablanca, e loro senza scomporsi risponderebbero: "bravo Mario, che fai a capodanno?".
Che poi, gira e rigira, l'organizzazione del capodanno segue con ineluttabile determinismo un ordine cronologico fisso di anno in anno. La prima volta che il gruppo di amici tira fuori l'argomento, c'è uno che dice: "Quest'anno vado pure in Burundi, anzi vado a letto alle 10... ma stavolta al paese non ci rimango". Tutti concordano e stabiliscono - giurando e rigiurando con patti di sangue e antichi riti wodoo - che stavolta si va a fare il capodanno in una capitale europea, e "curnutu cu sinni penti!". Questa opzione sfuma quasi subito, appena ci si rende conto che io sono stato a Londra e vorrei vedere Berlino, tu a Berlino ci sei stato ma opteresti per Barcellona, lui e lei sono stati a Barcellona e poi diciamoci la verità... low cost low cost, a un mese da capodanno, il massimo del Low sono 300 euro.
Si passa dunque a Roma. San Silvestro a Roma, tutti a casa mia. Entusiasti quelli che vivono tutto l'anno tra Alcamo e Palermo, disperato io che ci sto tutto l'anno. Per fortuna, l'ipotesi naufraga quando ci si rende conto che aerei non ce n'è più, e col treno va via troppo tempo, "è una sfacchinata". A Questo punto, casualmente tutti gli anni, viene fuori l'ipotesi "alternativa": due giorni in una baita sull'Etna, perché tutti in fondo, hanno sempre sognato un fine settimana alla Boldi e De Sica, stile vacanze di Natale 90. Poi, finalmente, qualcuno ha il coraggio di dire quello che tutti pensano: "Secondo me, due giorni chiusi in una casa in montagna ci rompiamo i coglioni... e poi io l'uno a pranzo devo essere a casa per mangiare con i parenti".

Vabbene, allora Capodanno in giro per Catania. Per chi non avesse origine nella Sicilia occidentale, faccio una postilla. Per noi satelliti gravitanti attorno Palermo, Catania è la vagheggiata città ggiovane, dal fermento culturale continuo e andergraund. Non a caso tutti cantanti vengono da lì e non da Palermo: Battiato, Carmen Consoli, Mario Venuti, Fiorello (ma Fiorello non è un cantante, e non è pure di Catania, è di Augusta - ah, vero). Il capodanno di Catania ce lo immaginiamo fatto di rave parties superclandestini e musica tecno ad ogni angolo. Ma siccome a noi la musica tecno, in effetti, non ci è mai piaciuta, e oltretutto c'è sempre uno del gruppo che giura che un anno il 31 dicembre lo ha fatto a Catania e non si è divertito per niente... boicottiamo anche l'opzione Catania, che tra l'altro... "è una sfacchinata".
Ci avviciniamo all'epilogo. Si concorda, con un pizzico di delusione ma con qualche rimasuglio di energia, che l'unica soluzione per salvare dignità e pranzo dell'1 con i parenti è organizzare il veglione a Palermo a casa di qualcuno. Tutto purché non rimanere ad Alcamo. Non se ne parla più fino a due giorni prima di capodanno. A quel punto, qualcuno comincia a defilarsi, in genere la coppietta più noiosa del gruppo, dicendo che essendo stati invitati i parenti di Caltagirone per il cenone, non possono venire. E' la prima crepa del muro, che crolla inesorabilmente in poche ore. Nessuno più vuole andare a cenare a Palermo, tranne gli unici due pirla che avevano organizzato tutto, perchè tanto a casa loro "la cena di capodanno è una tristezza, non ci sono parenti, e si guarda il programma della De Filippo fino a mezzanotte per aspettare il brindisi".
Finale scontato come un film americano: si resta ad Alcamo. Al massimo, idiozia delle idiozie, si parte per Palermo dopo il brindisi di mezzanotte, rimanendo imbottigliati all'entrata della città fino alle 2 di notte, per poi girare tra i botti e le fucilate senza una meta.
E ogni anno, giuro, è sempre la stessa storia. Quindi, non importa chi sei e da dove vieni. A questo punto, l'unica cosa che conta è: "Cosa fai a capodanno?"

felicia impastato con i trapanesi


Il bello della rete è che ti sorprende quando meno te l’aspetti, magari prima di andare a dormire.
Giro su youtube, senza pretese. Il mio percorso va dal Giuliano Ferrara della tv spazzatura (memorabile una puntata con Giancarlo Cito, caudillo tarantino) al Funari ruspante. Poi, mosso da un sano moto di amor proprio, mi sposto verso “La Meglio Gioventù” (Marco Tullio Giordana, 2003). L’incontro con Giorgia, i mondiali persi con la Nord Corea, Matteo che si lancia, la bionda brigatista. Molte scene mi inquietano, come sempre.
Da qui a “I Cento Passi” (M.T. Giordana, 2000) il passo è breve. Un paio di brani del film e poi l’intervista alla madre, in un bellissimo siciliano, con corollario di lacrime.
Ma la sorpresa è venuta dopo.
La seconda intervista si presenta più rudimentale, evidentemente amatoriale. In una panoramica scopro che quei ragazzi in casa di Felicia Impastato non erano sconosciuti. E a questo punto la sorpresa ha lasciato il posto alla meraviglia

lunedì 26 novembre 2007

Mi presento con cadeau


Ebbene si, sono Cipputi. Sono il virus rompiballe che agiterà i cybersonni di Brad (a proposito, su internet quando è notte?). Sono il ramoscello di ulivo nel nuovo simbolo del PD. Che sembra una cosa carina, ma in verità è stato messo lì, proprio tra il Gluteo P e il Gluteo D, per solleticare e dare fastidio. Io, millantatore militante, scuoterò questo blog con il mio massimalismo cazzaro. Fatta la premessa, posto il primo post, riciclando vigliaccamente uno scritto già scritto. Perché come si sa, la classe operata in paradiso ci vuole andare col minimo sforzo, e senza stramazzare prima dell'arrivo.

IL ROMANO CORRE…

Il romano corre. E corre perché ha sempre qualcosa da perdere. Che sia l’autobus, la metro, il tram, una lezione, una coincidenza o un film al cinema, lui corre. Mentre in campagna e nei paesi, i tempi sono certi e le mondanità rarefatte, in città il tempo è il bene più prezioso e perdere l’attimo significa passare la sera da soli. Luogo simbolo della corsa del romano è la metro, anche se la metro i romani nati e cresciuti in città cercano di evitarla come la peste, in quanto mezzo cheap e da popolino.

Ma in metro tu corri sempre, perché fino all’ultimo non sai se il mezzo è arrivato e sta per chiudere le porte, oppure no. E allora corri in ogni caso, per sicurezza, per non perdere un’occasione. La frase simbolo dell’ansia di non perdersi del romano viene invece pronunciata in un altro luogo a motore: l’autobus. Stiamo parlando, è chiaro, dell’odioso “Scende alla prossima?”. La natura molesta della frase risiede nel modo e nei tempi in cui viene usata. Il romano sull’autobus potrebbe avvicinarsi all’uscita del mezzo e chiedere “permesso” pochi secondi prima di scendere. Ma no, l’ansia lo costringe a chiedere “Scende alla prossima?” non appena l’autobus riparte dall’ultima fermata. Così facendo trasmette la sua ansia al vicino, e così via a catena. L’ipotesi che “Scende alla prossima?” sia un espediente necessario a causa dell’incredibile affollamento dei mezzi pubblici nella capitale, viene miseramente smentita dal suo utilizzo anche nel caso in cui il bus sia deserto e voi siate l’unico essere vivente tra il passeggero ansioso e l’uscita. “Scende alla prossima?”, dunque, non è spiegabile se non immaginando che nella testa del romano il mezzo pubblico è paragonabile a quelle piattaforme continuamente in movimento di alcuni videogiochi, su cui bisogna saltare al volo scegliendo bene il tempo, pena il precipitare nel vuoto e l’ineluttabile “Game Over”.

Allo stesso modo, secondo il romano, l’autobus non si ferma mai, al massimo rallenta, e l’unico modo per gettarsi dal mostro in corsa è prepararsi uno spazio per la rincorsa chiedendo a tutti “Scende alla prossima?”. Solo così il romano eviterà l’atroce rischio di perdere la propria fermate e finire a Frascati, dove – tra l’altro- “non conosco nessuno”. Così, assillato dalla preoccupazione di non perdere la coincidenza, il romano finisce col perdersi il vero sale della vita, Le coincidenze. Un amico di epoche felici ad un angolo di strada, una vecchia pazza che ti racconta la sua vita, un annuncio per la casa che cercavi, un raggio di sole proprio nel punto del marciapiedi in cui te ne stai bestemmiando, per aver mancato di un soffio il tuo maledetto bus.


Bio-Festa anni '70 ("cioè, in che senso?")


Fine settimana all’insegna della delusione per non aver raggiunto la città dell’auto. Però, grazie all’intervento di Cipputi ho partecipato a strani riti ludico-collettivi. Per esempio.

Sabato sera, festa anni ’70 a sfondo biologico, nei castelli fuori città.
L’obbligo – piuttosto blando – era di indossare capi anni settanta ma non si è fatto troppo caso al mio look contemporaneo, quanto al vino biologico che io, lucy e marshal avevamo portato.
A ben guardare, nessuno era realmente vestito come richiesto, tranne una coppia di mezza età (probabilmente padroni della casa e genitori dell’organizzatrice) che avevano un indubbio vantaggio rispetto a noi giovinastri, quello di essere due freakkettoni sopravvissuti. Io, con apparente naturalezza, indossavo un nastrino rosso sulla testa, tipo woodstock ma con molti meno capelli.

La festa è stata carina: s’è bevuto, mangiato e spalancato le porte della percezione. Ma sarebbe stata una festicciola qualunque se non si fosse materializzata la vera protagonista della serata (a parte l’amico Cipputi, uno dei bio-organizzatori, provolone, sempre una spanna sopra), un personaggio mitologico metà donna metà Verdone in fase hippy in “Un sacco bello”. Peccato per l’assenza di un sosia di Mario Brega (“A me fascio?! A zoccole', io non so’ communista così, so’ communista così!”). Fa sempre un certo effetto incontrare persone così incredibilmente identiche a dei personaggi comici. La razionalità porterebbe a pensare che tali personaggi siano inevitabilemente estremizzati, esagerati, banalizzati e infarciti di luoghi comuni, giusto per attrare il pubblico-massa. E invece, esistono e sono grandissimi.
A un certo punto della discussione ho avvertito un brivido lungo la schiena quando, a proposito della cooperazione in Africa, ha detto con la consueta voce nasale: “che poi l’africa è stata divisa con la squadretta dai colonialisti, senza tenere conto della cultura dei popoli abboriggeni”. Per poi proseguire, a proposito della contestazione alla Prestigiacomo alla manifestazione di sabato, con una frase magnifica: “Perché la violenza genera sempre violenza”. Ipse dixit.
Cosa volete dire a una così saggia?

26 novembre Campagna ONU sul disallineamento


Ogni anno più di 2000 giovani consulenti muoiono per non aver allineato correttamente una slide. Firma anche tu per un mondo di slide disallineate.

26 nov. Giornata Mondiale del disallineamento (ONU)

Riprendono le trasmissioni


Da questo momento riprendono le trasmissioni di questo blog, che si è fermato due mesi a riflettere sulla necessità della propria presenza nell'etere e sul giudizio da dare a In Rainbows, l'ultimo album dei Radiohead. Il risultato della riflessione è che la mia presenza non è utile alla società ma non dà troppo fastidio al grande fratello mediatico, per cui vale la pena continuare a parlare nel bordello dei blogger; mentre In rainbows è un album bello, bellissimo ma senza innovazioni, un po' troppo fragile.

Signore e signori, si riprende.

Sempre vostro, Brad

mercoledì 19 settembre 2007

Sarà la volta buona?



10-09 Radiohead: album pronto e Greenwood compone per Paul Thomas Anderson


Inizia un periodo elettrizzante per tutti i fan dei Radiohead: nel 2008 arriverà il nuovo album e prima della fine dell’anno uscirà la nuova colonna sonora di Jonny Greenwood che ha composto per Paul Thomas Anderson (‘Magnolia’, ‘Punch-Drunk Love’).
Per quanto riguarda il settimo album in studio sembra oramai assodato il fatto che il disco sia concluso sotto ogni forma: composizioni, missaggio e masterizzazione.
Adesso i Radiohead devono decidere in che modo far uscire “Dead Air Space” (questo sembra essere il titolo più gettonato) visto che hanno chiuso il contratto che li legava alla EMI e stanno vagliando le varie offerte di altre case distributrici.
Mentre i Radiohead si prendevano le loro pause, così come Thom Yorke ha pubblicato il suo disco solista “The Eraser”, anche Jonny Greenwood ha avuto il tempo di dedicare il suo tempo libero a se stesso e alla sua musica, infatti, è riuscito a comporre una colonna sonora per il lungometraggio i Paul Thomas Anderson intitolato “There Will Be Blood” che uscirà nei cinema americani per la fine dell’anno.
Il regista è da sempre un grandissimo fan dei Radiohead, in più è rimasto colpito dalla musica che Greenwood aveva composto per “Bodysong”, così per la sua nuova creatura ha ‘licenziato’ Jon Brion e assoldato il chitarrista inglese.
La storia di “There Will Be Blood” è stata scritta da Paul Thomas Anderson e si basa su un racconto di Upton Sinclair intitolato “Oil!”, la parte principale è stata affidata a Daniel Day-Lewis che interpreta un imprenditore del petrolio negli anni ’20.
Fabrizio Galassi
(da rockstar.it)

martedì 18 settembre 2007

Storie vere


Delizie. Bruce Ruth, padre delle "ostriche delle montagne rocciose", snack dal nome decisamente poco onesto, è morto. Aveva 73 anni. Sosteneva che le "ostriche", piatto forte del suo bar, venivano dalle acque di un fiume del Colorado. In realtà erano testicoli di toro recuperati da un mattatoio, impanati e fritti. Un nome alternativo per lo snack era "caviale del cowboy".

(da "L'Internazionale", 14/20 settembre 2007, p. 13)

lunedì 17 settembre 2007

Totalitarismi su prato


Per chi non lo sapesse, a Roma sono malati di calcio. Meglio: sono malati di Roma e Lazio, ma principalmente sono malati di Roma.
Si sente spesso dire che il tifo capitolino è particolarmente caloroso, attaccato alla maglia, entusiasta delle vittorie (anche minute) e depresso per le sconfitte. Questo è più o meno vero per tutte le tifoserie e per tutte le città.
A Roma, invece, sono maniaci. Maniaci, paranoici, esagerati, ferocemente salaci, radicalmente e irrimediabilmente fuori di testa.

Domenica, pranzo dal Fukic, nel piccolo mondo residenziale della Roma settentrionale. Nessuno per strada, non un bar o un negozio. Solo case con giardini colmi di finti banani e smart parcheggiate. Io sto pensando al pranzo domenicale, lui sta chiamando gli amici di sempre per scambiare opinioni e tensioni in vista della partita con la Reggina, bestia nera dell’ASRoma, nel pericoloso campo di battaglia del “Granillo”. Nel frattempo, la radio trasmette le stesse ansie e le stesse parole. Come sempre, il pranzo è stato abbondante e nel frattempo è arrivato Michelino, leggermente dimagrito e con i capelli corti. Si parla della sagra del porcino a Oriolo e dello show del Fukic col megafono.

La partita non sembra mettersi bene. La Reggina ha pensato bene di bloccare le fasce, marcare stretto il Capitano (non in grande forma, ma questo va solo pensato, MAI detto) riducendo la manovra dei giallorossi. Intervallo.

Secondo tempo aggressivo, Roma subito in avanti e dopo cinque minuti arriva il vantaggio: pennellata di Totti e colpo di tacco del brasiliano Juan. Euforia. La partita si mette bene. Arrivano Uagliò e Claudia. Sono entrambi all’estero, a Roma solo per il fine settimana e con l’aereo in partenza nel tardo pomeriggio. Ma Guagliò non può non vedere l’AS, non può non passare da casa del Fukic, anche solo per un breve saluto carico di romanità romanista. Claudia non sembra entusiasta ma non è romana per cui tutto questo avrà per lei un sapore esotico.
La partita finisce col raddoppio del Capitano su velo di Alberto (Aquilani, i giocatori sono chiamati rigorosamente per nome da Carlo Zampa ).
A seguire,
- Gol e interviste della serie A sul digitale terrestre
- Gol e interviste della serie A su Italia 1
- Telefonate ad amici romanisti
- Telefonate di scherno a laziali
- Programma su TeleRoma 56 con Lamberto Giorgi e Giulio Galasso (quest’ultimo particolarmente apprezzato dal Fukic che in mattinata ha seguito anche Meeting, trasmissione di approfondimento sportivo con pregevoli ospiti della Roma che conta)
- Passaggio su controcampo, con soliti siparietti Mughini-Liguori (ma come tralasciare la Canalis?!)

Alle 18.50 è arrivato il tempo di andare. Io devo tornare verso Roma sudest (un destino per me, la direzione dello scirocco), Fukic è diretto verso un aperitivo zona ponte Milvio, un’inaugurazione. Ma prima c’è il tempo di sentire Scalda che, non potendo vedere la partita, se l’è fatta registrare direttamente da Roma Channel.
Voi che ne dite?

Roma Roma Roma core de 'sta Città unico grande amore de tanta e tanta ggente che fai sospirà.
Roma Roma Roma lassace cantà, da 'sta voce nasce n'coro so' centomila voci ciai fatto 'nnamorà.
[con pathos, alzando di un'ottava] Roma Roma bella, t'ho dipinta io gialla come er sole rossa come er core mio Roma Roma mia nun te fà 'ncantà tu sei nata grande e grande hai da restà Roma Roma Roma core de 'sta Città unico grande amore de tanta e tanta gente m'hai fatto 'nammorà

giovedì 13 settembre 2007

Un pettirosso da combattimento


Ierisera il palinsesto della nostra vita prevedeva la scelta tra il dottor House e la partita della nazionale italiana di calcio. Abbiamo scelto Mary Poppins, senza rimpianti se non quello di non aver scelto di fare l’unico mestiere di cui ci sia mai importato qualcosa: lo spazzacamino.
Smaltita la delusione per gli errori compiuti e per le occasioni mancate (quanto guadagnerà poi uno spazzacamino?) siamo stati risucchiati da uno speciale su Fabrizio De Andrè, il cui autore Giancarlo Governi è uno dei giornalisti che meno sopporto, insieme a Gianni Bisiach e Franco Ordine.
Ma Fabrizio è incredibile. Mi lascia senza parole, ferito e con tanta voglia di pioggia.
Gli altri bradipi da ragazzi preferivano Ligabue, Vasco, Nirvana, Doors, U2 o Litfiba (pro-pro-proibito!). Anch’io –devo confessarlo- gli preferivo Guccini (più facile da suonare e ottimo per le citazioni in assemblea d’istituto) o De Gregori.
Fabrizio mi aspettava al varco ed ha aspettato a lungo, fino a quando un giorno di gennaio del ’99 è morto e mi sono sentito orfano. Era mattina presto, ero appena arrivato a Mattioli quando dal televisore ho sentito Toto Cutugno (vi rendete conto?!) che intonava “La canzone di Marinella”. Pensai che stesse per crollare il mondo, prima di capire che solo in punto di morte ci può essere tanta attenzione per uno come Fabrizio, me compreso. E subito mandai un messaggio al mio amico Marco CZ, grande appassionato, che stimo per aver capito prima di me la grandezza e invidio visceralmente per aver assistito a un suo concerto (Teatro Italia, Gallipoli, vero?). Da allora emozioni, sempre.

Dove sono i generali che si fregiarono nelle battaglie con cimiteri di croci sul petto?
Dove i figli della guerra, partiti per un ideale, per una truffa, per un’amore finito male?Hanno riportato a casa le loro spoglie nelle bandiere, legate strette perché sembrassero intere. Dormono, dormono sulla collina.”

mercoledì 12 settembre 2007

Non ci sono più le idee di una volta


Capita sempre più raramente di discorrere fino alle due di notte di idee, di delusione, di evoluzione del genere umano, di Russò (GianGiacomo non Carmen) e della invidiabile capacità di guardare sé stessi e il mondo dall’esterno, da lontano, rincorrendo la speculazione e rifuggendo dai condizionamenti culturali.
Con lucyinthesky è possibile. Magari non è facile ma certamente possibile.
Lei più di me. Anzi, lei sola a tracciare rotte al di là delle colonne d’ercole del pensiero mainstream e io a fungere da zavorra speculativa, inchiodato al mio solito bradipo-riformismo.
Il centro del ragionamento della nostra sta nella constatazione dell’assoluta incapacità di sviluppare un pensiero originale, una discussione libera, un ragionamento sui concetti, molto prima di scendere a livello della bega da cortile, della faccenda minuta, della cronaca spicciola e guardona.
Un esempio, la politica: “Hai mai sentito parlare di giustizia senza che nel giro di pochi nano-secondi si scenda a parlare di toghe rosse, di separazione delle carriere, di intercettazioni e gole profonde? Hai mai sentito persone discutere di cosa sia in sé la giustizia? Hai mai sentito parlare di libertà senza che le venisse affibiata qualche etichetta (Casa delle Libertà, Liberta di stampa, Libertà vigilata)?
Quando lucyinthesky deciderà di aprire un suo blog o di diventare una telepredicatrice di grido potrete godere anche voi delle sue argomentazioni e della sua vis polemica.