martedì 27 aprile 2010

Gli infiniti lutti degli achei

Vi è mai capitato di prendere un impegno in pubblico, legandovi mani e piedi alla realizzazione di un atto, al mantenimento di un impegno?

Buonsenso imporrebbe di limitare al massimo queste occasioni, eppure io - essendo bradipo e quindi dotato di natura di forza di volontà labile – lo faccio ogni volta che valuto un atto come importante, imprescindibile, o considero un atto o un comportamento offensivo per qualcuno. Mi lego pubblicamente le mani per alzare il costo della mia pigrizia, mettendo in mezzo il rischio di una malafigura.

Di questo parla Angela Merkel quando rimbrotta il governo greco (o i governi greci) per il comportamento tenuto prima e durante questa crisi.
Il governo tedesco e i suoi cittadini-contribuenti sono convinti che un aiuto finanziario facile alla Grecia comporti il rischio che il governo di quel paese, che è stato molto opaco per quanto riguarda la propria contabilità (leggasi: ha mentito a tutto il mondo sui propri conti), possa utilizzare questo prestito ponte (si parla di 9 mld € nei prossimi venti giorni) per tirare a campare, senza prendere i giusti provvedimenti in termini di riduzione delle spese e aumento delle entrate.
Il timore è che “passata la festa gabbato lo santo”.

Capisco che il discorso non sia simpatico: è come se tu vedessi uno per strada che è caduto con la bicicletta - grondante sangue e con le ferite alle ginocchia piene di pietroline di asfalto - e prima di aiutarlo gli estorcessi una dichiarazione scritta di impegno ad essere più prudente. Non sono cose che insegnano al catechismo.
Però il rischio morale rimane e non è una questione da poco. La stessa cosa vale per i salvataggi delle grandi banche cui abbiamo assistito in questi anni di crisi.
Perché salvare delle entità che si trovano in difficoltà a causa di comportamenti superficiali o, più spesso, fraudolenti?
Too big to fail s’è detto per le banche, cioè troppo grandi per poter fallire senza causare un effetto-domino incontrollabile sul resto del sistema economico (quello che per me è un debito per te è un credito e se non ho una lira anche tu ti attacchi al tram). Nel caso della Grecia si parla di debito sovrano e le implicazioni sarebbero di natura politica oltre che economica. Che ne sarebbe dell’euro se non ci fosse un intervento in difesa di una fetta, per quanto piccola, del proprio debito? E soprattutto che ne sarebbe dell’Unione Europea se si lasciasse affondare la Grecia?
Per questi motivi e per l’effettivo rischio-contagio alla fine la Grecia otterrà il prestito ponte ed è giusto così.

Ma sono anche più convinto che ci siano dei soggetti, come la Grecia, l’Italia e il sottoscritto Bradipo, che devono necessariamente prendere degli impegni pubblici vincolanti, legarsi le mani, per poter più efficacemente raggiungere un obiettivo, sia che si parli di rapporto debito/pil che di arrivare in orario ad un appuntamento.


P.S. questa crisi riguarda anche l’Italia che ha un rapporto debito/pil più alto della Grecia (115,8 contro 115,1) sebbene in presenza di un deficit di spesa abbastanza sotto controllo (5,3 contro 13,6).
Se si decidesse di dar seguito alla proposta di imporre ai paesi indebitati l’obbligo di avere un saldo primario attivo (cioè di spendere obbligatoriamente meno di quanto si raccoglie, a prescindere dalla situazione congiunturale) anche noi saremmo costretti a una bella cura dimagrante e al pericolo di una notevole conflittualità sociale.

lunedì 26 aprile 2010

Angela Favolosa Cubista

Angela Favolosa Cubista è una signora di oltre 60 anni di Catania. L'appellativo deriva dalla sua abitudine di andare a ballare in discoteca. Ma non in una discoteca adatta alla sua età. Proprio in discoteca a ballare l'house e la tecno, vestita con abitini succinti e brillanti da cubista, e una bionda chioma ossigenata. Questa sua stramba passione e la sua parlata sgrammaticata, degna del camilleriano Catarella, espressa in un forte accento catanese, l'hanno resa un personaggio pubblico. Si moltiplicano i passaggi tv, tra cui recentemente una partecipazione al nuovo programma di talent scout di Maria De Filippi e Gerry Scotti.
Angela sorridente racconta che ama la musica "aus" e la "tecnico", e che quando va a ballare col nipote di Novara non ce ne fa fare "malafigura". Ripete sempre però davanti alle telecamere che non fa uso di droga e di "alcolo". Tutto questo tra le risate piene di compatimento del pubblico.
Sentendo Angela in tv, davanti ai mostri divoratori di umanità per eccellenza, come appunto la De Filippi, la mia prima reazione è stata quella di fastidio per il solito cinismo televisivo: si prende una persona sui generis dalla provincia, la si porta davanti alle telecamere, e la si trasforma in un fenomeno da baraccone. Si ride di lei, mantenendo però l'abilità nel farle credere di stare ridendo con lei. E in questo c'è molta crudeltà.

Poi ho pensato anche alla famosa distinzione tra comico e umorismo di Pirandello: la vecchia signora truccata come una giovane donna fa ridere per l'avvertimento del contrasto (comico). Ma poi a ben pensarci si percepisce la malinconia che c'è dietro il non arrendersi alla vecchiaia, e questa consapevolezza ulteriore porta a una reazione umoristica.
Angela favolosa cubista scatena nel pubblico scafato di oggi entrambe le reazioni. Scherno e bonario sorriso.
Allora me ne sto lì che faccio queste mie riflessioni, quando sul finir della presentazione che Angela fa di se stessa, la vecchia cubista mi spiazza: spiega che adesso ha voglia soltanto di divertirsi perchè la sua vita è stata molto dura. separata da trent'anni e poi vedova, si è dovuta sposare all'età di 12 anni (Ma era Italia, o ancora Africa?), e nella vita di sofferenze ne ha dovute sopportare. Quindi ora che è sola, se la gode.
Quale parola mi viene in mente? Leggerezza. Una parola splendida, troppe volte degradata a insulto. Leggero è il ragazzo che pensa solo al pallone, leggera la ragazza che pensa solo ai vestiti e alla disco, appunto.
Ci si dimentica spesso all'opportunità di un'altro tipo di leggerezza: quella che si conquista dopo una lunga traversata. E questo è un dono che ci si fa, forse il migliore possibile.
Angela favolosa cubista ha fatto quello che in fondo tutti noi vorremmo. Quante volte ci è capitato in stanche sere d'impasse di raccontarci a vicenda di come è ingiusta la vita, che ti diverti quando sei bambino e non ti rendi conto del valoro che ha, e poi più cresci e più ti avvicini alla morte e più tutto diventa opaco.
"Come sarebbe bello essere adulti prima, e poi tornare bambini, e pensare solo a divertirsi".
Angela Favolosa Cubista l'ha fatto. Alla faccia di Maria De Filippi e della sua personale declinazione dell'umorismo pirandelliano.

mercoledì 21 aprile 2010

Arancini, arancine e il paese pulviscolare

Ieri sera il cine-bradipo-group del martedì mi ha concesso uno sprazzo di saggezza sociologica degna del miglior Fabio Volo: l’Italia è un paese pulviscolare, diviso cioè in infiniti infinitesimi difficilmente conciliabili.
L’occasione cinematografica è stata la visione del film “Basilicata Coast to coast”, in cui secoli di marginalità di quella (così come di tante altre) regione trovano uno sfogo caotico di luoghi, dialetti, piatti tipici e danze, purtroppo non tradotti in una trama credibile.
Ma la riflessione sull’Italia nasce non tanto dal film quanto dal successivo passaggio dalla rosticceria siciliana a pochi passi dal cinema, dotata di molteplici prodotti (sfincione, arancine, calzoni, etc.) e rigorosamente palermitana, con tanto di affresco murale raffigurante il bagno belga di Mondello.

Al momento dell’assaggio dell’arancino al ragù sfodero uno dei miei cavalli di battaglia sulla Sicilia, ovvero che gli arancini con il pezzo di carne intero, tipici della Sicilia orientale, sono più buoni di quelli occidentali, ripieni di ragù di carne tritata e piselli.

Apriti cielo!

Cipputi, fino a quel momento piuttosto cauto, comincia la sua arringa verso le persone presenti - rosso in volto - affermando che:
· Si chiamano “Arancine” e non “Arancini”;
· Non si è mai visto un pezzo di carne intero nelle arancine, bensì ragù alla bolognese (?!) e piselli, perché così prescrive la tradizione;
· Non vi è certezza tra gli studiosi che quelli della zona di Catania e similari possano essere considerati siciliani.

Stavo per rinfocolare la polemica buttando sul piatto anche l’annosa questione della granita e del cannolo siciliani quando sono stato colpito dall’affermazione di nostra signora dei paccheri secondo cui:

«la gente è convinta che a Salerno fanno la pizza come a Napoli e invece fa schifo!»

Oggi, stimolato dalla questione ho coinvolto in chat la mia amica siculo-alemanna Petoaliana la quale mi ha scritto:

«insomma non frequentare certa gente! (riferito a Cipputi, ndr). Quanto agli arancini, il tuo amico dovrebbe leggere e informarsi: persino Camilleri, che come tutti sanno non è di Catania, ha scritto gli arancini di Montalbano e non le arancine».
Per poi proseguire: «in ogni caso il ragù fatto con la carne tritata è una roba non proprio del sud (appartiene più alla cucina emiliana), da noi adattata per semplificare il procedimento. il nostro ragù si fa con le carni intere, che poi nell'arancino vanno messe dopo averle grossolanamente sfilacciate».

In quel momento mi sono balzate alla mente tutte le volte in cui mi sono dilungato a distinguere tra le frise di Lecce e quelle del resto del mondo – che, sia detto per inciso, è rappresentato dal buco al centro – ed ho capito che non c’è speranza per l’Italia.
Perché la cosa non riguarda solo le questioni eno-gastro-geografiche ma si riflette in tutti gli aspetti della vita e della storia di questo Paese, incapace di trovare un racconto comune.

Avrà forse ragione Renzo Bossi, detto la trota, nel non tifare per la Nazionale italiana di calcio ai mondiali ma per la Padania?
Ma soprattutto: come le preferisce le arancine il figlio di Umberto B., visto che sua madre è siciliana?

venerdì 2 aprile 2010

Femminismo e sesso anale


Analizziamo è la parola giusta. Alcuni giorni fa, a Rai per una notte, Daniele Luttazzi marca il suo ritorno in tv dopo 8 anni di esilio con un fortissimo intervento in cui paragona la condizione del paese nei confronti di Berlusconi al sesso anale tra un lui e una lei, in cui alla iniziale ritrosia della donna, segue un godimento senza più nessuna resistenza. L'intervento è sembrato ai più esilarante, ma ha scatenato diverse critiche, soprattutto dal mondo femminista.
Riassumendo con le parole di una mia amica, le critiche mosse più spesso sono le seguenti:
"Senza moralismi e sessuofobie se l'inculata piace ed è consensuale offende che sia paragonata ad un atto si sopraffazione; "Sembra non volerlo ma le piace" è un concetto che va smantellato decostruito; il mito della donna ritrosa che deve essere convinta al sesso anche con un po di forza sta alla base dello stupro! Poteva scandalizzare e rendere il concetto col sadomaso,il fetish, il bondage, il fisting. L'inculata è quanto di più conformista esista. Non è anche un pò omofobico parlare di sesso anale come metafora dell'asservimento e del male? il linguaggio non è neutro e le parole sono importanti"

Io non sono d'accordo alle critiche mosse a Luttazzi da questa angolazione, e spiegare perché può essere un'occasione di confronto su un tema spesso passato sotto silenzio, come questo.
Ma prima di spiegarmi, voglio fare una premessa a scanso di equivoci.
La battaglia femminista è quanto di più necessario ci sia oggi in Italia. E' Sacrosanta. Fanno bene oggi le donne a mettersi insieme per strappare i loro diritti a una società sessista e arretrata come quella italiana. Anzi, se un difetto noto nel movimento femminista di oggi, è un difetto di volontà generale. Troppe poche sono le donne che oggi in Italia lottano per una reale parità dei diritti in campo privato, nelle relazioni, e in campo pubblico, nella gestione del potere.
Detto questo, tornando a Luttazzi e alla metafora del sesso anale:

Secondo me alla base di critiche come quelle mosse dalle femministe, c'è una scarsa conoscenza del reale. Esistono coppie etero in cui il sesso anale è praticato ed eccita proprio per quel misto di dolore e piacere, di sopraffazione e gioco, che porta con sé. L'entrare dentro il corpo di un altro da un "buco" fatto per altro, è in sé un gesto ancestralmente contronatura. E per molti che lo praticano questa "sensazione" fa parte dell'eccitazione. Andando sui siti porno, ci si trovano tanti filmati amatoriali di coppie, anche italiane, alcuni messi in rete dalla stessa donna, in cui il gioco del "no no, mi fai male, si si stroncamelo in culo", è la regola e in un certo senso la giustificazione stessa del gesto.
Detto questo, chiedo alle donne che leggono il blog, quanti partner vi sono capitati nella vita che davanti a un vostro sguardo serio e a un "non mi va", siano andati avanti con la forza? Pensare che Luttazzi facendo quella battuta, giustifichi lo stupro, è paragonabile ai bigotti che dicono: "Se sei per la liberalizzazione della mariujana stai con l'eroina", oppure "se giustifichi quelli che rompono vetrine alle manifestazioni, sei un terrorista". E' una forzatura logica che non fa altro che allontanare la battaglia femminista dal raggiungimento dei suoi obbiettivi.
E' importante partire dalla realtà, prima che dalla sensazione di disagio di chi è politicamente sensibile al tema.

Scendendo nel particolare dello sketch, forse sfugge che la satira per funzionare, cioè per far ridere, deve rispondere a delle regole precise:
E cioé deve essere accessibile, diretta, univoca.
La sodomia è una pratica conosciuta da tutti, parlare di bondage, o fetish, significherebbe parlare di qualcosa sconosciuto a grosse fette di pubblico generalista. A meno che non si spieghi il significato del termine prima. Ma facendo così si scade nel secondo problema, relativo alla necessità di essere diretti. Quello che fa la differenza tra una battuta che fa ridere e una uguale che lascia tiepidi (e quindi in fin dei conti, la differenza tra un comico e uno qualunque) è in gran parte il ritmo e l'essenzialità della battuta. Se Luttazzi, nel mezzo dell'esempio, si fosse messo a specificare a destra e a manca tutte quelle cose che potevano essere fraintese dalle femministe, avrebbe tolto potenza alla sua battuta. Che per un comico è come per un architetto progettare una casa che non sta in piedi, è l'errore peggiore.
Terza cosa: univocità del messaggio. La battuta deve arrivare dritto al bersaglio, senza tentennare e dare possibili interpretazioni altre del concetto, senza dispersioni di senso.
Se Luttazzi, eterosessuale in un paese a maggioranza eterosessuale, avesse detto, ad esempio - come prongono le femministe nei loro interventi: "Ok, considerate di stare inculando il vostro partner uomo".... Tutti si sarebbero chiesti: "Perchè fa un esempio su una coppia gay? Sta forse scherzando sui gay?" e la metafora tra sodomia e paese sottomesso e contento sarebbe andata a farsi fottere (appunto), seguendo inesistenti dietrologie (ri-appunto).
Dunque, l'unica maniera di fare quell'esempio in maniera efficare, dal punto di vista della satira, era farlo in quel modo.
E nessuno dei miei amici, men che meno io, hanno pensato: Beh si, alla fine alle donne glie piace sempre, anche quando ti implorano di smettere.

giovedì 1 aprile 2010

Cuore azzurro e Pavlocapitalismo


Questa mattina andavo al lavoro in scooter. Sul mio lato destro ho visto scorrere un cartello al bordo della strada. Il manifesto diceva: "Cuore Azzurro. L'amore vince sempre sull'odio e sull'invidia". Esultanza per i risultati elettorali. Si, ma che cazzo significa a livello politico questa frase? Nulla. E' un'idiozia. Ma un'idiozia che ha convinto e mosso al voto la metà di una nazione.
Allora ho pensato a una cosa che avevo scritto nel dicembre del 2007 nella mailing list di Rekombinant, uno strumento di discussione politico-filosofica eccellente, che ha chiuso lo scorso anno.

Questa cosa che avevo scritto si chiamava "Pavlocapitalismo e devoluzione". Sono andato a rileggermela. E ho ripensato al cuore azzurro.
Ve la ripropongo (sperando che non sia troppo astrusa):

Pavlocapitalismo e devoluzione

Dopo quarant'anni almeno di evoluzione del semiocapitalismo, l'impressione è
che adesso stia maturando il passo successivo. È oggi un capitale che gioca con
il consumatore come lo scienziato Pavlov, che grazie a esperimenti basati sulla
routine, aveva abituato il suo cane ad avere fame non appena sentiva la
campanella che annunciava la pappa. Una questione di azione e reazione, di
stimoli e impulsi.
Ecco, sembra che il senso non sia più una merce pregiata per il capitalismo.
Alla gente non frega quasi più niente. Quasi nessuno legge più un giornale o
accende la tv per dare una struttura di significato alla società in cui vive.
I frammenti di significato (forse sarebbe più giusto chiamarli cocci) in cui
siamo immersi, si sono moltiplicati e ristretti così tanto, da essere diventati
semplici pixel luminosi.
Il pavlocapitalismo non vende più senso, perché la gente vi ha rinunciato, così
come ha rinunciato al sentimento. Si vendono sensazioni, seguendo un percorso
inclinato che dalle sensazioni scivola verso le pulsioni, per finire in
impulsi. Pixel, appunto. Il consumatore oggi vuole impulsi, si accontenta di
questo. I programmi tv sono sempre più brevi e forti, non parlano quasi d'altro
che di sesso, potere, successo e violenza. Le canzoni si accorciano. Un signore
che butta la vernice rossa nella fontana di Trevi viene lodato anche da persone
insospettabili, perché il rosso con la fontana “ci sta bene”, e per
nessun'altro motivo che non sia estetico. I rapporti interpersonali vengono
sempre più delegati a supersonici messaggi scritti scambiati su internet. È
l'epoca degli aforismi, non dei libri. Non a caso piacciono molto i libri che
sono una accozzaglia di aforismi messi insieme, in certi casi anche di pessima
qualità.
A fare le spese maggiori degli effetti del pavlocapitalismo sono i più piccoli.
I bambini, proprio nell'età in cui sentono la necessità della sistemazione del
reale in una struttura di senso, si trovano davanti impulsi e poco più. Così
come le generazioni precedenti hanno avuto l'occasione di formarsi nei primi
anni di vita attraverso una griglia più o meno oppressiva di senso, le ultime
generazioni si vedono costrette ad addentrarsi nell'adolescenza senza punti di
riferimento cognitivi con una geometria precisa. Probabilmente i figli del
pavlocapistalismo sono iniziati già con la generazione che oggi vive
l'adolescenza. Potrebbe essere un'abbozzo di spiegazione riguardo l'incapacità
di decifrazione, non solo da parte del mondo adulto, ma anche da parte delle
generazioni immediatamente precedenti. Forse la caduta del muro di Berlino è
stata molto meno e allo stesso tempo molto di più della fine delle ideologia.
La fine del mondo in blocchi è stato solo parte di un processo di disgregazione
di una ontologia del senso, di cui gli imperi contrapposti erano gli ultimi
baluardi di un mondo retto dall'ideologia. E non è un caso, forse, che in
quegli anni si sia confuso la morte delle ideologia con la morte del senso,
dato che proprio la stessa ideologia è il sistema di senso più strutturato che
l'uomo abbia a disposizione. Non è fuori discussione, dunque l'ipotesi che
l'avanzare del processo devolutivo che viviamo abbia a che fare con la
formazione/nonformazione delle generazioni nate a cavallo tra anni ottanta e
novanta.

Il pavlocapitalismo, che riduce il rapporto tra consumatore e capitale a uno
stimolo offerto e consumato all'istante, infatti, produce effetti ancora più
profondi nell'antropologia sociale odierna, a causa dell'odierna tendenza
“devolutiva”. E quando faccio riferimento alla devoluzione, non intendo la
regressione allo stato brado e animalesco. Intendo la progressiva perdita della
caratteristica forse più importante, tra quelle che differenziano l'uomo dalla
bestia: il senso etico, la capacità di distinguere tra bene e male, e
soprattutto di scegliere il bene.
Ciò che vi avvicina sempre di più agli animali non sta nella forma, negli stili
di vita, che possono essere anche raffinati e sofisticati senza sfuggire alla
devoluzione. Ci avvicina il rifiuto sempre più diffuso di sopportare
conseguenze sgradevoli (impulsi negativi) se scegliamo il bene. Non è una
questione di senso, non c'è una particolare difficoltà nel distinguere cosa è
bene e cosa è male (stiamo parlando di bene e male in senso lato e soprattutto
in campo sociale). Semplicemente, scegliere l'uno o l'altro è indifferente,
rispetto al vantaggio immediato che se ne può ottenere.
Se quanto detto è perlomeno verosimile, se il pavlocapitalismo esiste, bisogna
chiedersi in che modo invertire il piano inclinato. In che modo, secondo quali
percorsi, tornare dagli impulsi, alle pulsioni, alle sensazioni, e infine al
sentimento.
Ad esempio, si potrebbe provare uscendo a fare una passeggiata, leggendo un
buon libro, facendo una gita con vecchi amici e nuove conoscenze.