venerdì 29 maggio 2009

Per tutto il resto c'è MinchionCard


Una volta che ero arrivato in aeroporto con un'ora di anticipo sul volo...
Una volta che mi ero detto "Ah... che bello! Adesso mi vado a mangiare un pezzo di pizza e poi con calma mi avvio all'imbarco"...
Una volta che finalmente avevo capito quanto è meglio essere noiosamente previdenti, invece che avventurosamente in ritardo...

Non vado a sbagliare aeroporto?

Ciampino, cazzo! Non Fiumicino... Ciampino!

Taxi Fiumicino-Ciampino 43 euri. Per tutto il resto c'è MinchionCard.

Ps: per gli ultimi 4 voli in partenza da Roma ho dovuto prendere il taxi 3 volte. La prima per semplice ritardo, la seconda perché ho preso il trenino sbagliato e stavo finendo a Fara Sabina, e la terza ve l'ho appena raccontata. Sarà il caso d'intervenire? Aiutatemi!

giovedì 28 maggio 2009

4 cose ovvie (di B.Severgnini)


Un pesce rosso convinto d'essere un cardinale, gli economisti che ammettono di non averci capito niente, la politica fuori dalla nomine Rai, José Mourinho che lavora gratis. Sono molte le notizie surreali che avrebbero potuto colorare questa torrida primavera, ma è toccato a una ragazzina e ai suoi bizzarri rapporti col presidente del Consiglio.Bizzari: ecco la parola. Potete essere di destra o di sinistra, atei e cattolici, giovani o meno giovani, ma sarete d'accordo: se uno sceneggiatore avesse scritto un film con quella trama, gli avrebbero detto "Ragazzo, hai bevuto?". Invece è accaduto. Noemi, le feste, il papi, i genitori, le smentite, i fidanzati che compaiono e scompaiono. I marziani guardano giù dicendo: "E quelli strani saremmo noi?". Quattro punti ovvii, per ridurre i litigi e provare a ragionare. Il primo: la frequentazione tra un settantenne e una diciassettenne - al di là del ruolo di lui - è insolita. La famiglia Letizia non sembra stupita, decine di milioni d'italiani sì. Una spiegazione plausibile ancora non l'hanno avuta. Se tanti lavorano di fantasia, a Palazzo Chigi non possono stupirsi. Ovvietà numero due. Alcune affermazioni del protagonista sono state smentite. "L'ho sempre vista coi genitori": poi Noemi - ma cosa s'è fatta? era così carina! - salta fuori alla festa del Milan, sbuca al galà della moda, compare in Sardegna. Per cose del genere, nelle altre democrazie, i potenti saltano come tappi di spumante. Noi siamo più elastici - succubi, rassegnati, distratti, disinformati: scegliete voi l'aggettivo - ma un leader politico, perfino qui, dev'essere credibile. Ovvietà numero tre. Le abitudini e le frequentazioni di Silvio B. riguardano solo Veronica L. (che peraltro s'è già espressa con vigore sul tema)? Be', fino a un certo punto. Il Presidente del Consiglio guida una coalizione di governo che organizza il Family Day, mica il Toga Party o il concorso Miss Maglietta Bagnata. Michele Brambilla - vicedirettore del "Giornale", bravo collega e uomo perbene - spiega che, per il mondo cattolico, contano le azioni politiche, non i comportamenti coerenti. Io dico: mah! Ovvietà numero quattro. L'opposizione, in tutte le democrazie, cerca i punti deboli dell'avversario, soprattutto alla vigilia delle elezioni. Dov'è lo scandalo, qual è la novità? Se Piersilvio s'indigna, non ha idea di cosa avrebbe passato suo padre in America, in Germania o in Gran Bretagna (dov'è inconcepibile che i capi di governo possiedano televisioni). Non solo in questi giorni: negli ultimi quindici anni. Bene: quattro cose ovvie, in attesa di sviluppi. Intanto s'è insediato quietamente il governo Letta. Qualcuno che coordini ci vuole. C'è da lavorare, e il Capo è altrove.


Dal Corriere della Sera del 28 maggio 2009

mercoledì 27 maggio 2009

scene da una laurea


Da notare 2 cose:



  1. La soddisfazione con cui Manu sfoggia il suo calzino “Salento 12” durante la sessione di laurea;

  2. la bruttezza della scarpa papponesca del suo vicino (che si dice sia barese…)

Un paese ci vuole


“Un paese ci vuole, non fosse altro che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
(C. Pavese, “La luna e i falò”, capitolo I).

Stamattina mi sono svegliato col rumore dei cucchiaini sul bordo delle tazzine da caffé.

Ero preoccupato di non riuscire a salutare Manu (meglio conosciuto dai lettori di questo blog come Marshall) prima che andasse all’Università della Muscia a discutere la sua tesi di laurea.

Erano le 7.07 ed il laureando non aveva alcuna intenzione di alzarsi però. Le tazzine erano delle mamme che ci sono venute a trovare e l’unica decisione percorribile era tornare a letto e aspettare le solite quattro sveglie mattutine, rimpiangendo la bellezza del sonno.

Manu era abbastanza emozionato e anche Lucy, anche se entrambi non lo davano troppo a vedere. Ad ogni modo, prima che uscissero dalla porta della nostra portineria ho dato un’occhiata alla tesi di laurea: copertina in tela rossa (ruggine forse, “comunque un colore matto” direbbe Lucy), spessore triennale, titolo inquietante: “La Sacra Corona Unita: la quarta mafia”. Con un titolo così, penso, ci sarà quantomeno una citazione di Falcone, Borsellino, Cataldo Motta. Invece, ecco la sorpresa.

L’apertura del lavoro era affidata a Pavese, con la frase che leggete sopra, il cui significato può essere compreso solo da chi ha vissuto il distacco. Anche lo studio sulla SCU fatto da Manu non ha avuto come spinta una semplice curiosità sociologica, storica, bensì la voglia di approfondire un aspetto della propria terra, sicuramente uno dei peggiori.

Ho letto “La luna e i falò” per la prima volta a quindici anni: non ci ho capito un cacchio ma sono rimasto affascinato. L’ho riletto più volte dopo il “distacco” e tutto è stato più chiaro, più doloroso.

Spero che né Manu, né Lucy, né io, né Cipputi (tutti emigranti doc) siano costretti a vivere per intero la delusione del protagonista del libro. La delusione di tornare nel buco di culo dove si è passata la propria infanzia e adolescenza e accorgersi che non era poi così bello, accogliente, rassicurante come lo si era immaginato.
Ma è probabile che succeda a tutti.


P.S. lo so che scrivo sempre post malinconici sull’argomento ma mi serve per difendermi dalle accuse di apostasìa…

lunedì 25 maggio 2009

E l'Internazzionale....


"Vecchi muri proponevan nuovi eroi" (F.Guccini)


Breve notazione minima sui tempi che cambiano attraverso i manifesti elettorali. Lungi da me il fare una lunga e colta e noiosa dissertazione sulla semiotica dei consigli elettorali "appizzati" selvaggiamente ai muri. Solo due pensierini:
Il primo... minchia ma chi li paga sti geni della comunicazione politica, e quanto gli danno??
Possibile che per queste elezioni europee non ci sia un manifesto che non faccia slogan con le due parole più ovvie, Italia e Europa?
Più Italia in Europa, più Europa in Italia, in Europa con l'Italia, L'Italia in Europa, portiamo l'Italia in Europa, Italia-Europa 0 a 2. Avete presente quelle stantie comitive da parrocchia che a un certo punto della serata riescono a tirare fuori una battuta decente, e poi seguitano per le seguenti quattro ore a fare patetiche variazioni sul tema? Avete presente quel sentimento di frustrazione che si prova? Ecco, con i manifesti politici più o meno la stessa cosa.
E non parliamo delle eccezioni che sono peggio del male. Ieri ho visto un certo candidato Battilocchio che dal cartellone invitava: "Batti l'occhio all'Europa ;)" . Proprio così, non bastava l'idiozia della frase, ci ha messo pure l'emoticon... per accattivare l'elettorato giovane, avrà pensato.
Ma se io avessi 18 anni, di un cartellone del genere penserei, più o meno: "Guarda che coglione".
Per poi passare alle cose serie. Manifesto elettorale dei comunisti col faccione di Diliberto. Lui sorride con la sua solita espressione da bambino secchione e assicura: "La mia rabbia, è la vostra rabbia".
Ok, a parte che una volta un comunista avrebbe detto "la vostra rabbia è la mia rabbia", che da tutta un'altra idea della politica che raccoglie le esigenze del popolo invece di imporgliele...
Vabbene, diciamo che questa è una mia personalissima pippa mentale... ma la grammatica, Santo Iddio, almeno la grammatica... lo sanno pure i bambini che lavorano in miniera che tra il soggetto e il verbo non si mette la virgola!
Poi dice che perdono...

giovedì 21 maggio 2009

Le nostre stelle sono nanissime



Allora, la storia è questa. Sono entrato nella libreria Mondadori sotto l'ufficio dove lavoro. La ragazza di Dica (non è un modo maschilista di identificarla, ma un rapido tentativo di spiegare come la conosco) ha appena pubblicato il suo primo romanzo. Lei si chiama Caterina Venturini, e il libro "Le tue stelle sono nane" (Fazi Editore). Dunque, credendo fortissimamente nel karma, che un giorno porterà tutti i miei conoscenti in libreria per comprare la mia opera prima, ho aperto la porta e mi sono avvicinato al ragazzo dietro la cassa. Si prova una strana sensazione quando ti trovi a chiedere il libro di un autore sconosciuto. Se è straniero, ancora ancora te la cavi. Spari il nome e se il libraio fa una faccia interrogativa, lo guardi male come a dire: "il solito italiano provinciale".
Quando l'autore è italiano, il trucchetto non funziona. Comunque, ho schiarito la voce e ho pronunciato con tono chiaro e ben scandendo le parole: "Le tue stelle sono nane, Fazi Editore". Il nome dell'autrice non l'ho detto, perché se dai troppo dettagli presti il fianco al sospetto che in fondo in fondo tu stia cercando un libro inesistente. Lui ha controllato al computer, ha detto "si" e si è avvicinato allo scaffale. Però, dopo qualche secondo ancora non era riuscito a trovarlo.
Io aspettavo silenzioso e sereno.
Lui ha bisbigliato qualche parola di lieve costernazione, ma lievissima eh, e ha chiamato la sua assistente. Le ha detto il titolo del libro e il nome, hanno constatato al computer che era arrivato una settimana prima e si sono messi a cercarlo nuovamente. "Ma quante copie sono arrivate?" fa lui a lei. "Una", risponde lei.
Una copia. Che strana società. Una libreria nel centro di Roma ordina solo una copia di un libro appena pubblicato. Chissà poi perché? E Se, malauguratamente, entra qualcuno, lo compra, lo legge, lo apprezza e lo consiglia all'amico... questo entra dentro la libreria e non trova il libro. Ma allora, perché prendere quella prima copia, se non si aspira a venderne almeno un'altra?
Nel frattempo i due continuano nella ricerca della copia perduta. Ogni tanto mi rivolgono la parola un po' a disagio. Ma io non nessuna sensazione di fastidio. Mi muovo abile come una libellula tra i ripiani con le nuove uscite poggiate sopra. Non mi causa nessuna agitazione l'ipotesi che non trovino il libro. Ho inseguito un anno "La schiuma dei giorni" di Vian, che mi ero messo in testa di comprare proprio quando la sua casa editrice stava per fallire e non ristampava più manco uno spillo, e ne avevo trovato una copia orfanella nella stessa Feltrinelli che mesi prima me l'aveva spacciato per defunto... Aspettero anche per Venturini e le stelle. Nane. Che poi a un certo punto ho pure avuto la tentazione di stemperare la situazione e creare empatia con la seguente battuta: "Eh, si vede che queste stelle sono così nane che è impossibile trovarle". Ma poi mi sono ricordato che questa era una battuta da lettore brillante, e io odio i lettori brillanti. Sono peggio dei lettori ottusi. Sono decisamente peggio dei lettori ottusi. Nel frattempo, loro buttavano lì due o tre concetti per temporeggiare: "Strano... non è neanche un doppio autore... vedi tra thriller e gialli... come è fatto il libro?".
All fine, si sono avvicinati sconfitti e hanno ammesso che il libro era smarrito. Poco male, lo troverò di sicuro alla Feltrinelli della galleria Colonna, oppure torno domani, se ci ho venti minuti liberi, per rigustarmi la scena della ricerca di Godot dalle stelle piccole.
Intanto mi sono comprato "Altri Paradisi" di Walter Siti, di cui ho letto "Il Contagio", molto apprezzato. Il libro che ho preso parla, mi pare, dei tanti, troppi, paradisi che ognuno di noi insegue vanamente giorno per giorno. Quali paradisi, se anche cercare un libro appena uscito è un purgatorio, in questo paese in cui non si sa più a chi dare la colpa e soprattutto per cosa.

mercoledì 20 maggio 2009

!bASTA!


Non mi piace l’antiberlusconismo viscerale, non penso che tutti quelli che votano per la coalizione di centro-destra siano dei cretini e sono piuttosto propenso a pensare che i figli di puttana siano diffusi su tutto l’arco costituzionale (con varie concentrazioni).

Non mi piace togliere legittimità democratica a mezza Italia che lo vota ma Berlusconi continua a dare violente gomitate nelle gengive della democrazia, con le falsità, le leggi fatte approvare che gli garantiscono l’impunità, il totale disprezzo per le regole.

È veramente troppo.

Ci troviamo di fronte a un Presidente del Consiglio che è stato tirato in ballo da un tribunale della repubblica in un processo di corruzione e falsa testimonianza e che continua a parlare di “giustizia elettorale”, menzogne e falsità dei giudici che lo osteggiano e di una parte (assolutamente minoritaria nella sua testa) di italiani che lo invidia e per questo lo odia così tanto.

Non se ne può davvero più!

Ma cosa pensa Silvio che sono/siamo davvero così coglione/i da credergli?

In Gran Bretagna il capo della Camera dei Comuni si è dimesso per rimborsi spese gonfiati mentre in Italia permettiamo questo stupro delle regole e della civiltà giuridica.

Non è che mi vergogni per questo. È che sento fortissimo il puzzo di merda, che non è solo quello sparso da coloro che grazie a Berlusconi hanno una brillante carriera (impossibile elencarli tutti) ma anche quello dei silenti, degli ignavi che continuano a tener la testa bassa senza esporsi, facendo finta che l’Italia sia un paese civile.

Attualità

giovedì 7 maggio 2009

Acquasantiere e scherzi della mente



Ehilà, giovani bradipe/i, come state?
Questi giorni di ferie (più o meno) volontarie e di festività mi hanno allampanato il cervello, questa è la notizia.
Dovete sapere che io sono famoso per picchi clamorosi di sbadataggine, il cui racconto si ripete come un mantra da parte di amici e parenti appena qualche particolare di vita quotidiana sembra rievocarli.

Quella volta che ho perso il biglietto del concerto di Guccini mentre già ero sul pullman direzione Bari…
Quella volta che ho lasciato per ore le chiavi inserite nel quadro mentre andavo in giro…
Quella volta che mi sono alzato alle sette di sera da un riposo pomeridiano ma ero convinto che fosse mattina per cui pensavo di essere in ritardo per il lavoro…
Quell’altra volta gustosissima in cui i miei compagni di casa dello studente hanno ritrovato il mio telefono in giro e hanno fatto finta che me l’avevano rubato (con annessa richiesta di riscatto)
Quella volta (recente) in cui ho lasciato il casco con dentro le chiavi appoggiati al manubrio del bolide fino all’ora di pranzo (a Roma!)

Eccetera eccetera

Io cerco di redimermi da quest’immagine, anche perché mi procurano ansia, imbarazzo, secchezza delle fauci, sciatalgie, sgwarhouse e sensazione di morte imminente, ma non mi riesce. Quando meno me l’aspetto colpisce.

L’ultima nei giorni scorsi.

Questa volta, devo essere sincero, avevo notato una specie di sciame sismico precedente all’evento. Per esempio, ho dimenticato più volte macchina fotografica e vcamera, l’ultima in chiesa dopo il battesimo della bradiponipotina (meglio conosciuta come Baconchi, neologismo coniato dal padre indicante “graziosa neonata tracagnotta di vorace appetito”), tanto che ho dovuto bussare al sagrestano per recuperarla. Ma si è trattato di un prologo inascoltato.

Lunedì 4 maggio. Erano giorni che la gente mi chiedeva “quando parti?” e io sentivo la mia voce rispondere con tracotanza: “lunedì alle 18, Freccia Rossa”. Ero intimamente convinto che fosse la risposta esatta!
Ho vissuto in funzione di tale scadenza per abbondanti cinque giorni, affrontato le moltepici incombenze burocratiche, tanto da essere fiero di me stesso. Anche parenti e amici sembravano persuasi che qualcosa fosse cambiato nel mio cervello, che la sbadataggine fosse un ricordo del passato da riesumare vicino il camino nei freddi inverni della terra del fuoco. E invece…

Mentre chiudevo con cura la valigia, tranquillo nel mio essere in abbondante anticipo, mi salta alla mente di controllare il biglietto: sono attimi di tensione, perché sento che c’è qualcosa che non va.

La partenza era alle 17.14 non alle 18!
La partenza era alle 17.14 non alle 18!
La partenza era alle 17.14 non alle 18!

Guardo l’orologio: ore 17.11. Guardo mio padre e dico con malcelata tranquillità: “Andiamo, ricordavo male l’orario”.

È inutile dire che il treno l’ho perso. Ed è ancora più inutile dire che sono stato fatto oggetto di scherno, anche da parte di persone che non sentivo da anni.

Non mi resta che aspettare la prossima puntata.