domenica 31 ottobre 2010

Schizofrenia e desideri, La società dei consumati

ATTENZIONE: Post serioso (ma interessante)

Leggo un'interessantissima riflessione di Christian Raimo sull'introiezione del conflitto. In questa riflessione, Raimo sostiene (scusate se brutalizzo), che la schizofrenia è il male del tempo, perché rappresenta in pieno il rapporto alienante tra individuo e precarietà esistenziale e lavorativa di questi anni.
A me ha fatto venire in mente un'altra cosa, complementare se vogliamo.
Quasi una decina di anni fa, lessi su Repubblica un articolone di Umberto Garimberti su depressione e schizofreni dal punto di vista sociale. La tesi, molto convincente, era la seguente:
Negli anni sessanta, fino all'epoca della contestazione, la patologia psicologica del tempo era stata la schizofrenia. Questo perché in una società totalmente ingessata dalla repressione dei costumi, applicata dalla famiglia con mandato della Chiesa, i giovani stimolati dalle sirene del boom economico e delle miriadi di possibilità che si aprivano davanti ai loro occhi, subivano una scissione alienante tra desiderio e prigionia del reale.
Alcuni bellissimi film dell'epoca, come “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio e “Diario di una schizofrenica” di Liliana Cavani, fotografarono quel lacerante contrasto. Sostiene Garimberti che con l'avvento dell'epoca matura del consumismo, gli anni Ottanta e Novanta, il male dell'epoca sono diventate l'ansia e la depressione. Senza addentrarsi in sfumature sintomalogiche, entrambi hanno la stessa radice di inadeguatezza al reale. Ma rispetto alla schizofrenia, si tratta di un'inadeguatezza di segno inverso. Lo smarrimento del giovane degli anni 2000 (attenzione, ho detto duemila, non duemiladieci), deriva non dalla mancanza di possibilità, ma dall'eccessiva disponibilità di strade percorribili. Nella società dei consumi, al suo stadio di picco, l'individuo viene messo simbolicamente al centro di un'enorme spazio da cui si dipanano mille strade, ognuna percorribile, ognuna foriera di successi e appagamenti massimi.
Di fronte a tanta abbondanza di alternative, il ragazzo o la ragazza si sentono totalmente inadeguati, abbandonati di fronte a una scelta troppo gravosa per le loro forze. La reazione, a gradazioni diverse è la preoccupazione ansiogena o la resa depressiva.
E fino a qui, abbiamo fatto un bel riassuntino di Galimberti.
Poi, un pomeriggio uggioso di un anno fa circa, stavo sul motorino a riflettere su queste cose e a cercare di quadrare il cerchio di sensazioni discordanti con la teoria di Galimberti. Avevo l'impressione che la schizofrenia stava riprendendo quota nel borsino delle patologie sociali, rispetto all'ansia/depressione. Si, ma perché? Come era possibile visto che stavamo nella società delle mille possibilità e non in quella della repressione degli istinti del dopoguerra?
Un'idea me la sono fatta, e trovo conferma in più di una riflessione con cui mi sono confrontato in seguito, tra cui quella recente di Raimo.
Il concetto è seguente: la società dei consumi, superato il picco massimo, ed entrata in uno stadio successivo di decadenza, come è oggi, fa un repentino cambio di segno dal punto di vista della reazione psicosociale.
Il consumo, il godimento, la libertà sessuale, l'essere se stessi, l'indipendenza da tutto e da tutti, la sterminata miriade di possibilità (“L'orrore, l'orrore!” Direbbe a questo punto il capitano Kurtz) spinte alla massima velocità, si tramutano in una prigione.
Nessuno è più libero di non essere parte di questo sistema dell'estrema (fittizia) libertà.
Adesso il ragazzo o la ragazza non si trovano più al centro di uno spazio aperto da cui si dipanano infinite strade. Adesso il soggetto è al centro di un panopticon, in cui le sentinelle sono sostituite dai desideri.
Una prigione di desideri. E qui la mia idea è rafforzata dal confronto con quanto sostiene Franco Bifo Berardi rispetto al mutamento di segno del desidero oggi. Bifo cita la forza di liberazione rappresentata dal desiderio negli anni 70 (come teorizzato da Deleuze e Guattari) per poi passare all'oggi:
“Nel frattempo ci siamo resi conto che il desiderio può anche essere una trappola, il desiderio è un campo, non una forza. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un processo di questo genere, invece di essere espressione di una soggettività che si afferma, che si espande, che si rende più solidale, più forte, diventa un flusso che penetra nel campo sociale e che lo inquina, che lo trasforma nel contrario del desiderio medesimo, e si trasforma in desiderio di morte. La pubblicità è questo essenzialmente... ci convince nel fatto che ciascuno di noi è in competizione con l'altro, che la ricchezza consista nell'avere di più, ci induce a diventare gli assassini di noi stessi, trappole per noi stessi. Perché in realtà la ricchezza non ha nulla a che fare con l'avere. La ricchezza è la capacità di essere nel tempo, è la capacità di godere del tempo, di godere del nostro corpo e del corpo dell'altro. Noi dovremmo sapere che sono la nostra intelligenza e la nostra solidarietà che unite possono darci tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno”.
Ecco fatto, senza volerlo, mettendo insieme Ramo, Galiberti, e Bifo, vi ho dato una possibile posologia per uscire dalla schizofrenia del duemiladieci.
E tutto questo perdendo un'ora di tempo della mia preziosissima domenica.
Ok ok, mi offrirete una birra per ringraziarmi.

venerdì 22 ottobre 2010

ESCLUSIVO! Intervista all'architetto che fa i plastici di Porta a Porta

Ucciu Aloisi


All’età di 82 anni, nella sua Cutrofiano (Le) è morto Ucciu Aloisi, cantante popolare salentino.

Personaggio di grande interesse per due motivi: innanzitutto, perché naturale interprete della tradizione musicale popolare salentina; secondo, perché umanamente dava a vedere (io l’ho sempre visto in concerto mai da vicino) di essere un personaggio tosto, difficile da gestire. Diciamo pure un gran rompicoglioni.

Però la sua autenticità è fuor di dubbio. Colpito quasi per caso dalle luci della ribalta grazie all’improvvisa celebrità della musica popolare salentina ne è stato un grande protagonista ma anche un feroce critico.
Settant’anni di musica gli erano passati addosso caratterizzati dai suoi stornelli, dalle canzoni dialettali, dalle canzoni di Tito Schipa e solo marginalmente dalla pizzica. Quindi un personaggio controtendenza rispetto alla moda dei pizzichi d’amore e di disperazione. Anche perché la pizzica aveva –nella sua concezione originale- una sua collocazione specifica, legata ai riti del tarantismo, alle celebrazioni coreutico-musicali descritte da Ernesto De Martino nel suo celebre studio “La Terra del Rimorso”.

Ucciu Aloisi aveva il fiuto per gli affari e si prestava anche ad eseguire i pezzi di pizzica tanto alla moda ma usava dire «la pizzica, poi n'altra pizzica, ancora na' pizzica e la gente se rumpe li cujuni». Mentre lui voleva eseguire i canti di lavoro, gli stornelli sconci e la bellissima “Quannu te llai la facce alla matina” di Tito Schipa, canzone splendida che cantava sempre mia nonna Angiulina. Sempre insieme a Domenico Riso e al gruppo “Robba te Smuju” e sempre con l’inconfondibile voce dalle tonalità distorte e che negli ultimi era diventata – ad essere sincero – quasi incomprensibile. Anche perché Ucciu Aloisi non era il tipo che poteva indossare una dentiera, impegnato com’era tra il lavoro in campagna e le tournée nazionali ed internazionali.

Una sera di qualche anno fa un’amica avellinese di un’amica di bradiponevrotico, partita appositamente da Roma in direzione Cutrofiano nel Salento per intervistare il maestro Uccio e farne il gioiello della propria tesi, si sentì dire più o meno così: «A mie nun me futte nu cazzu te la pizzica. La fazzu sulamente perché me la dummandanu».

Un personaggio difficile da gestire, impossibile da far smettere di cantare quando si trovava sul palco di fronte ad un pubblico che, a prescindere dalle sue prestazioni, gli tributava ovazioni da rockstar. Le cronache dicono che abbia mandato apertamente affanculu il maestro Mauro Pagani durante un’edizione de “La Notte della Taranta”, perché gli chiedeva di concludere la sua esibizione.


Mi immagino la scena:
Pagani: «Maestro Uccio per favore basta, dobbiamo andare avanti con lo spettacolo!»
Ucciu Aloisi: «A cine basta, a mie? Ma ci cazzu sinti tie, ah?!»
Pagani: «Io sono il Maestro Concertatore!»
Ucciu Aloisi: «Ane affanculu ah, tie e sti quattru cujuni ca zumpanu!»

Bradiponevrotico su RadioFabbrica: Buona la seconda!

E finalmente i vostri bradipi sfornano la seconda puntata della loro omonima trasmissione su Radio Fabbrica. Dopo i problemi tecnici che hanno funestato la prima, torniamo con più maestria che mai.
Solo per farvi divertire e riflettere allo stesso tempo (proprio come Lorenzo Giovannotti).
Nella nuova puntata troverete le nostre discettazioni sulla manifestazione della Fiom a cui abbiamo partecipato, su Comizi d'Amore (l'incontro della Fabbrica su Vendola) e su come siamo riusciti a intervistare Nichi, sulla censura in Rai, e.... in questa puntata c'è persino lo scoop!
Siamo riusciti a intervistare uno degli architetti che fa i plastici di Porta a Porta.
Sensazionale.

Senza parlare delle buona musica: Hole, Rage against the machine, Bregovic, Teatro degli Orrori, De André e tanti altri...

Ascoltateci!!

Qui la PUNTATA

lunedì 18 ottobre 2010

Laceranti Dubbi (ovvero manifestazione sì, manifestazione no)

Sabato sono andato in piazza, alla manifestazione della Fiom-Cgil. Avevo molti dubbi ma ci sono andato.
Nei mesi scorsi, leggendo degli accordi di Pomigliano e della vertenza che li ha determinati, mi sono chiesto più volte quali tra le parti in causa – la Fiat, i sindacati sottoscriventi o quelli protestanti - avesse ragione.
L’istinto mi portava a solidarizzare con gli operai. Ma quali? Quelli che l’accordo lo hanno sottoscritto o quelli che manifestano? E poi, non ho mai avuto simpatie per chi, analizzando una vertenza di questo genere, mostri di non considerare in nessun modo le ragioni dell’impresa, della loro efficienza, della necessità che hanno di competere sul mercato.
Nel caso di Pomigliano, ad esempio, come si può non vedere il problema di efficienza che avviluppa uno stabilimento che ha percentuali di assenze per malattia significativamente più alte di altri stabilimenti? E come si può ignorare che il costo per Fiat di mantenere un simile stabilimento è aggravato dalla consapevolezza che produrre in un altro paese (si è parlato di Polonia o Serbia) porterebbe ad un abbattimento dei costi del lavoro notevole?
Certo, un’azienda di tale rilievo non può fuggire all’improvviso, soprattutto se si parla di un’azienda negli anni ripetutamente aiutata dalla collettività, dallo Stato, attraverso le barriere all’entrata per i concorrenti esteri, gli incentivi all’acquisto di auto e attraverso vendite concordate di aziende dall’IRI (Alfa Romeo) nella logica dell’interesse nazionale.
Poi ci ha pensato Fiat a risolvere il mio dubbio, inserendo nella vicenda quelle forzature - quali le limitazioni arbitrarie alle assenze per malattia, il rigetto unilaterale del contratto collettivo nazionale del 2008 – che mi hanno indotto a pensare che al di la della vertenza sindacale, del futuro di quello stabilimento, ci fosse una logica ben precisa nella strategia dell’azienda italo-americana (anche questa dimensione geopolitica va presa in considerazione dopo la fusione con Chrysler).
Una logica che punta a forzare la situazione in Italia, rappresentando la vicenda di  Pomigliano come uno scontro tra modernità e anticaglia operaista novecentesca, per avere una giustificazione per andare via dal paese, senza responsabilità, anzi con l’appoggio del governo e dell’opinione pubblica.

Mi decido quindi a partecipare insieme con la Fabbrica di Nichi alla manifestazione, puntando attraverso loro a evidenziare non solo la condizione di chi vede minacciati i propri diritti (gli operai) ma anche di chi quei diritti non li ha (lavoratrici/tori atipici, precari in gergo) e forse non li avrà mai. Per di più, facendolo con una certa leggerezza, con i risciò al corteo, le interviste, la trovata delle fantapensioni per i precari. (nella foto accanto un giovane e capelluto e anonimo partecipante)
Alla fine della manifestazione, che a tratti appare nostalgica e sicuramente piuttosto incazzata, sono contento del lavoro che abbiamo fatto. Continuo a preferire di gran lunga Epifani a Landini, la logica non corporativa (almeno nelle parole) della CGIL ad un certo settarismo della FIOM ma sono contento di non esser rimasto a casa.

Happy end? Riconciliato col mondo sindacale? Manco a dirlo...


Oggi leggo un piccolo articoletto che riguarda l’accordo tra Unicredit e sindacati relativo ai 4700 esuberi previsti dalla riorganizzazione della banca. A prima vista tutto sembra normale: una prima parte degli esuberi sarà composta dalle uscite volontarie; poi si comincerà con coloro che hanno più di quarant’anni di contributi (che ci faranno ancora a lavoro?!). Bene, bravi.
Poi gli aspetti positivi dell’accordo, il frutto dolciastro che in una mediazione serve a far ingoiare la pillola, ovvero:
  «[…] la stabilizzazione a tempo indeterminato di 1.700 apprendisti e l'assunzione di 1.121 giovani. È stato ottenuto anche l'impegno dell'azienda a privilegiare le assunzioni dei figli dei dipendenti, con due vincoli legati alla laurea e alla conoscenza della lingua inglese. Unicredit non ha invece accettato l'idea di un’assunzione automatica dei figli dei propri dipendenti destinati al prepensionamento.»
Esattamente come nelle caste indiane: diventi bancario se sei figlio di bancario.

Mi cadono le braccia, non so cosa aggiungere e mi distraggo con le foto osè di corriere.it

venerdì 1 ottobre 2010

Bradiponevrotico su RadioFabbrica: comincia il countdown

C’è agitazione in bradiponevrotico in attesa della prima diretta su RadioFabbrica.
Ma procediamo per ordine.

RadioFabbrica è una webradio nata da un’idea della Fabbrica di Nichi Roma di cui sia bradipo sia cipputi fanno parte.

Appena si è diffusa la notizia di questo blog più di qualcuno è andato a leggerlo per poi dichiarare gioiosamente:
«Bello il blog. Scrivete un sacco di cazzate, perché non farne un programma radiofonico?»

Inutile dire che abbiamo accettato la sfida, studiando la piattaforma e attrezzandoci con microfoni e cuffie professionalissime (15 € di spesa complessiva).


Domani, sabato 2 ottobre alle ore 15, la prima diretta. Si parlerà anche di voi, dei nostri 15 lettori oltre che del mondo, della società, della politica e delle cazzate (con evidenti sovrapposizioni) visti attraverso lo sguardo di bradipo e cipputi ma anche di lucyinthesky e polemicacone, di mario fava e dei tanti ospiti e opinionisti e ballerine di lap-dance a domicilio.

Non vediamo l’ora di cominciare