venerdì 21 dicembre 2007

l'abito, il monaco, la rivoluzione


Il giorno stesso in cui ho firmato la lettera di stage è cambiato qualcosa.
Quel giorno sono arrivato nella sede della bradipo-società vestito come al matrimonio di mio fratello: giacca nera, camicia bianca, cravatta rosso fuoco (piuttosto appariscente), scarpe con tacco rumoroso. Ad un certo punto, Catia (giovane co-masterizzatrice e co-stageur) mi intima di togliere il piercing dall’orecchio, dicendo “ma sei matto?! Togliti subito quel coso dall’orecchio!”.
All’inizio, da bravo bradipo progressista, vivevo il cosiddetto dress code come una costrizione, di cui liberarsi non appena possibile. Cosa sono –mi dicevo- queste formalità inutili, questi orpelli borghesi per mascherare spesso il vuoto?
Poi mi sono reso conto che quegli abiti, ancorchè arraffazzonati e sgualciti, stavano diventando una vera e propria divisa, dentro la quale sentirsi più sicuri, più a proprio agio. Una volta, mentre facevo la fila in una Asl della periferia della metropoli, due vecchiette volevano farmi passare avanti, incredibilmente messe in soggezione da una cravatta dell’Oviesse (9,90 €). Si può pensarla così? Non saprei. Se mi fermo a pensare mi rispondo che è una stronzata, che sono distorsioni della realtà.
Poi mi sorprendo a guardare alcune vetrine, con l’intento di emulare gli esseri che mi circondano: vestito grigio antracite, camicia (preferibilmente) bianca, cravatta blu magari a righe, scarpe nere con taglio alla francese. Loro sono state le ultime. Non mi sentivo abbastanza bradipo-consulente senza le scarpe à la francais. Ce le hanno tutti, potevo essere da meno?
Le ho comprate. Non le più care, ma le ho comprate. E quando sono andato in ufficio ero soddisfatto, anche se per colpa loro avevo delle stimmate ai piedi e visioni mistiche, tipo arcangelo gabriele. Unica concessione eccentrica: i calzini a righe, però intonati a camicia e/o cravatta.
È tutto molto decadente ma sono sincero.

P.S. (per i lettori più affezionati) è solo un camuffamento. Quando Berlinguer apparirà in televisione – come profetico diceva Cioni Mario- mi farò trovare pronto per la rivoluzione.

3 commenti:

Cipputi ha detto...

al di là delle rigidità sartoriali, copyright delle generazioni ggiovani, c'è una cosa che oggettivamente può essere definita una tortura:
la cravatta.

Diciamoci la verità. E' una cosa scomodissima e soffocante, oltreché inutile. E assomiglia troppo, e non a caso, a un guinzaglio.

Alla rivoluzione con la due bottoni!

Anonimo ha detto...

un mio compagno di classe conosceva la sceneggiatura del film a memoria e in gita di terza media in treno la ripetè tutta in siculo salentino, neanche fosse Omero con l'Odissea

Anonimo ha detto...

(questo commento era per il post successivo...)