mercoledì 2 aprile 2008

Quarto Stato di Necessità



Antonio Catricalà, presidente dell’Autorità Antitrust, ha affermato stamani che 110 mila famiglie sono insolventi nei confronti delle banche per i pagamenti delle rate del mutuo, mentre 420 mila sarebbero in sofferenza. Tenendo presente che il totale delle famiglie (per quanto riportato da repubblica.it) è 530 mila, si desume che non ci sia neanche una famiglia senza affanni in questo momento in Italia. Perché?

Il dato di fatto incontestabile è che negli ultimi vent’anni un’ampia fascia di famiglie/persone che basano la loro esistenza sul lavoro hanno perso potere d’acquisto in misura considerevole, tanto da scivolare progressivamente in una condizione alle soglie dell’indigenza. A molti non gliene frega un bel niente di tutto questo.
Quelli a cui interessa qualcosa spesso spiegano questo fenomeno con la drammatica scomparsa del lavoro salariato dalla scena pubblica, dalla politica, che ha spinto a sottovalutarne le rinnovate necessità. La perdita - si potrebbe dire – della coscienza di classe da parte di operai, impiegati, salariati avrebbe spinto a questa polverizzazione delle istanze e delle esigenze, all’incapacità di affrontarle sul piano politico. Questa è la tesi che recentemente ho sentito esporre da Fausto Bertinotti e che sento come ricorrente in molte delle persone che conosco. Insomma si ricorre a una spiegazione sociologica ad uso politico. Non so se essa sia vera ma mi permetto di avere qualche dubbio. Dubbi da economista abortito, quale mi considero.

Il lavoro in Italia è caratterizzato da una minore produttività rispetto a molti dei nostri partner commerciali, da almeno tre decenni. Si badi: non intendo dire che noi lavoriamo di meno (almeno rispetto agli altri europei) ma che con un’ora del nostro lavoro si ottiene una quantità minore di prodotto. Fino al 1992 questo problema sistemico veniva ovviato attraverso il canale monetario, ovvero modificando il valore esterno della lira con continue svalutazioni/deprezzamenti, in modo da poter recuperare il gap di produttività, che si riflette direttamente sul prezzo di beni e servizi. Ora questo non è più possibile, perché siamo in un’area monetaria (probabilmente non ottimale) con paesi molto diversi tra loro. E allora? [hai rotto le scatole con ‘ste argomentazioni da ragioniere]
È qui il nodo della questione: l’unico modo che il sistema produttivo ha trovato è la compressione della remunerazione del lavoro, eccezion fatta per chi ha un grande potere contrattuale con i datori di lavoro, vale a dire: statali e parastatali, autoferrotranvieri, controllori di volo, ecc.

Per questo motivo, o l’Italia esce dal suo torpore e comincia a produrre e vendere a ritmi sostenuti (puntando magari su prodotti innovativi) oppure siamo rovinati. Non ci sono elezioni e partiti nuovi che tengano.

Per quanto mi riguarda, ho già presentato la domanda al concorso per bidello, antico e nobile mestiere che mi consentirebbe di arrotondare con la vendita sottobanco di panini e brioches.

4 commenti:

Cipputi ha detto...

Mah sta tesi non mi convince del tutto. La verità è che i salari sono troppo bassi perché non c'è lavoro.
Leggi qui:
http://www.beppegrillo.it/2008/03/statistiche_fal.html

Anonimo ha detto...

nooooooooo cipputi, ti prego

ma perché ormai si cita sempre beppe (ma io sono del sud e dico peppe!) grillo.

a i u t o!!!!!!!!

vabbé ora me la leggo sta statistica.
Comunque, perché col lavoro italiano si produrrebbe meno? Scusate vorrei una spiegazione.

Cipputi ha detto...

oh, raccuiotto, se le cose interessanti le pubblicasse Giancarlo Magalli, citerei www.giancarlomagalli.it!

Anonimo ha detto...

mmm il problema è che a parte beppe grillo o giancarlo magalli ci dovrebbero essere anche altre fonti...

ci meritiamo questo? forse si.
aprire la scheda elettorale e trovarsi la faccia di un comico, tra i comici...