lunedì 14 aprile 2008

Diario minimo di un elettore


Diciassette ore di viaggio (tra treni di andata, ritorno e attese di autobus) per trenta ore di permanenza al natìo borgo. Ne è valsa la pena? Sicuramente sì.
E non solo perché consideri il voto come una delle principali espressioni della partecipazione democratica, in un paese oligarchico per vocazione e prassi, ma perché da un punto di vista umano è estremamente formativo.
Arrivo a casa dopo un viaggio lungo e notturno e i miei genitori mi informano che nell’ordine:

  1. mia madre, storica iscritta all’azione cattolica e lettrice di “Famiglia Cristiana” dai tempi del primo concilio di Trento, ha ricevuto la chiamata personale di Pierferdinando Casini;
  2. la buonanima di mia nonna Angiulina, recumaterna aggia, morta il 1 luglio del 1998 all’età di 91 anni, ha invece ricevuto una lettera entusiasta da parte di Silvio Berlusconi, con la quale il suo quasi coetaneo la invitava a votare (ovviamente per lui).

Su mia nonna, purtroppo, l’invito –per quanto gentile- di Berlusconi non sembra poter esercitare grossi effetti. Su mia madre, invece, la telefonata del bel Pierferdi (ancorchè registrata) stava per farla vacillare. In fondo, Casini è cattolico, è belloccio e a mia madre un po’ piace. Dopo la delusione per la caduta del suo riferimento politico-culturale Romano Prodi, ho visto nei suoi occhi l’ombra del dubbio, per cui ho giocato sporco. Ho instillato in lei il dubbio che Casini potesse allearsi dopo le elezioni con Silvio B., argomentazione che ha istantaneamente fugato ogni dubbio. Mio padre, dopo “aver votato sempre il partito di Longo e Berlinguer” senza mai ammetterlo apertamente per paura delle ritorsioni della sua signora, era invece ben motivato e contento di votare per Uòlter.

Ma il vero fulcro di ogni elezione è la presenza al seggio. Non so come funziona nelle città, ad altre latitudini, ma nel mio simpatico borgo supermeridionale vige l’obbligo di stazionare almeno un po’ nei crocicchi che si formano a ridosso dei seggi, formati da politici locali, militanti, parenti amici cugini e congiunti, gente comune. Possibilmente spostandosi più volte da una sede all’altra (nel bradipo-borgo sono solo due, per sei sezioni).
Ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare una pratica sbagliata, finalizzata al controllo dei votanti, un’altra espressione di quell’invasivo controllo sociale da cui spesso i paesi come il mio sono soffocati. Dal mio punto di osservazione, in realtà, tutto questo assume un carattere strettamente sociale: si conoscono le nuove leve del paese, si osservano vecchie glorie e giovani promesse di un ipotetico “Miss Borgo Bradipo”, si incontrano compagni delle elementari e vecchi amici che un giorno –non sai perché- hanno smesso di uscire insieme a te e ai tuoi amici. Si prende il caffè con una parte di queste persone e si chiacchiera, dove vivi-che lavoro fai-come ti trovi.
In essenza, ci si sente ancora partecipi di una comunità.

P.S. piccola notazione politica: voglio essere prudente (crunch) ma parlando con le persone ho avvertito nei simpatizzanti democratici (nel senso del piddì) una vena di malcelato ottimismo, entusiasmati dalla campagna (e dal comizio salentino) di Walter Texas Ranger. Mentre si facevano gli scongiuri, c’era chi diceva “mi sembra come quando ha vinto Vendola…”

Nessun commento: