domenica 16 marzo 2008

Brad e Cipputi all'Opera dei Pupi


Sabato sera culturale. Siamo stati, con Brad e tre dolci pulzelle, a vedere uno spettacolo unico e meraviglioso al Teatro Palladium: Visita guidata all'opera dei pupi, di Mimmo Cuticchio. Costui è l'ultimo grande esponente della secolare tradizione dei pupi siciliani, che fino al dopo guerra sono stati un formidabile esempio di teatro popolare basato su storie di cultura alta. L'opera dei pupi, infatti, racconta essenzialmente del ciclo carolingio, le storie di Orlando e dei paladini di Francia, di Carlo Magno e i sarracini, di Angelica e del traditore per eccellenza Gano di Magonza.
Lo spettacolo che abbiamo visto racconta la bottega del puparo mentre si mette a posto la scena poco prima dello spettacolo. Mentre Cuticchio (fisiognomicamente uguale a Mangiafuoco) racconta aneddoti sulla quotidianeità del mestiere, si fa prendere la mano a poco a poco, manovrando i pupi,fino a terminare lo spettacolo in piena rappresentazione della pazzia di Orlando.

Cos'ha di speciale questo spettacolo? A parte, per me, la magia del dialetto palermitano, che mi sa di vicoli umidi e affollati, e mi fa pensare a mia nonna, popolana di Palermo...
E' un godimento per lo spettatore, quando in una rappresentazione di poco più di un'ora, riesce a trovare tanti stimoli su temi che riguardano l'uomo e la vita, al di là dello spazio e del tempo.
Innanzi tutto, l'inevitabile malinconia delle tradizioni che muoiono, con il cambiare delle epoche. Lo stesso Cuticchio racconta a fine spettacolo come abbia dovuto accettare la morte della vecchia Opera dei pupi, e ricercare un'apertura alla sperimentazione per continuare a lavorare. La muta domanda di chi ha amato e ama una tradizione che scompare e non sa darsi una risposta né capire se ciò sia inevitabile di fronte alla modernità che avanza. E di qui, altro stimolo dello spettacolo, l'ostinazione dell'uomo a salvare la sua storia (che coincide con la sua memoria d'infanzia) a tenerla a galla. L'ostinazione che è ossessione, nell'artista che insegue la parola e il gesto che portino all'anima della questione (in Cuticchio che stringe il pupo per consolarlo), l'ossessione in Orlando che perde il lume della ragione per l'amata Angelica. C'è l'identificazione del creatore con la sua creazione, in Cuticchio che durante la pazzia di Orlando, sguaina la spada del pupo e l'agita, come fosse lui stesso il paladino.
E poi, il rapporto dell'artista col pubblico, la necessità di ascoltarlo, di blandirlo, di farlo ridere per poterlo trascinare indifeso al centro del dramma umano (e qui è bello il parallelo tra il pubblico di bambini nel teatro dei pupi e il pubblico-bambino nel teatro Palladium).
E infine, un livello di lettura cruciale per chi nella vita vuole fare arte, lo spiega lo stesso Cuticchio alla fine tra gli applausi: "Questo spettacolo è nato nell'89 quando per me era chiaro che l'opera dei pupi come l'aveva fatta mio padre era morta, ma non sapevo ancora quale strada prendere per continuare... ecco, ho messo su questo spettacolo in cui 'smonto' l'opera per mostrarla, la faccio a pezzi, e la lascio così, perché ancora in quel momento non avevo una risposta".
Questo è un consiglio: in un momento indecifrato e indecifrabile come quello che viviamo, cercare a tutti i costi di rappresentare con l'arte un via d'uscita può essere una forzatura disonesta. E' forse già tanto riuscire a fotografare bene il caos, il punto di incompiutezza in cui ci si trova. E nello spettacolo di Cuticchio, la fotografia è il pupo di Orlando smembrato in pezzi e sospeso nel vuoto al centro della scena. Che rimanda in fondo al significato ultimo e più profondo: l'uomo come burattino in balia di fili invisibili (che siano altri uomini, che siano credenze, che siano invincibili passioni), capace di farsi trascinare fino alla perdita di sé, fino a una domanda muta e sospesa al centro della scena.

1 commento:

bradiponevrotico ha detto...

Accanto a me c'era un signore siciliano, che anticipava le battute e traduceva per la famiglia. Era evidentemente in preda ad uno shock emotivo e io lo invidiavo. Invidiavo il suo essere siciliano e la possibilità di sentire dentro tutto quello che Cuticchio, il pubblico palermitano, Orlando, Rinaldo e perfino Gano di Magonza esprimevano.

Alla fine dello spettacolo un bambino con la faccia dipinta di verde, nipote del signore siciliano, aveva la faccia triste, a un passo dalle lacrime. Chiedeva alla mamma e la nonna "Ma Orlando è morto?". Ed il nonno: "no, amore mio, non è morto. E' impazzito per colpa di una donna. Devi stare attento alle donne"