lunedì 10 ottobre 2011

Di Siena che muore, dei fricchettoni senza facebook, dell'amore e di altri roditori


Tornare a Siena è sorprendermi nonostante la consuetudine che non mi abbandona.
Non mi si muove nulla dentro, quando la sera vedo spuntare da un vicolo laterale l'imponente torre del mangia e mi addentro nella piazza del Campo.
Della bellezza che toglie il fiato che mi colse diciottenne un giorno di sole di settembre di tredici anni fa, non c'è traccia.
Mi colpisce invece il giro che Antonio mi fa fare per le vie della città. Una per una mi mostra le attività che sono chiuse a causa della crisi. Due cinema, il Fiamma (sostituito da un supermecato) e il Moderno, che era bello grande e proiettava film di cassetta. Adesso è chiuso, con una pedana di legno alzata alla rinfusa sul portone. Ci faranno una banca a quanto pare. Poi mi dice Antonio che anche la libreria Ticci, una delle più antiche e belle, è chiusa. E un caffè letterario che ha resistito solo un anno.
La città degli universitari muore, forse a causa dell'enorme buco che la gestione degli scorsi anni ha lasciato. Il gioiellino da primato nelle classifiche annuali di Repubblica non è più sexy per i 18enni, che corrono ad iscriversi ad altre facoltà in altre città.

La cosa più penosa è entrare nel Palazzo San Galgano, sede di Lettere. Il ricordo di corridoi affollati e aule gremite dei mie anni universitari si scontra col vuoto desolato di oggi. Pochi ragazzi, che entrano ed escono dalla biblioteca, per lo più da soli.
Siena e la sua università non sono più il centro di niente.
L'aula computer è deserta, un tempo bisognava aspettare in coda. E i bagni, tutti liberi e con le stesse scritte oscene sui muri di un tempo. Anche un adesivo di una delle prime webradio antagoniste. Avanguardia andata a male. Incredibile penso, ed è un pensiero naif lo ammetto, come ciò che credi infinito, un giorno finisca. Io e Antonio ci diciamo con un misto di sollievo e senso di colpa che è stata una fortuna essere capitati nel periodo migliore di quell'ateneo, averne succhiato le energie più fresche, aver cavalcato l'onda migliore, quella che non ritorna.
Per fortuna in città ci vengo solo la sera o la mattina, per il resto sono ospite a casa di Antonio nel mezzo delle colline senesi. Con Cate hanno affittato a un prezzo stracciato un casolare disadorno in un posto bellissimo. Più bello di una cartolina.
Tra le vigne e piccoli boschetti.
Guardiamo il tramonto parlando di politica. Nessun contadino che vendemmi, sono arrivato con qualche giorno di troppo.
I ritmi della campagna mi strappano alle tossine della capitale. Mi allontanano dalle complicate bugie metropolitane, dal continuo ed estenuante parlarsi addosso, mantenendosi in un livello intermedio tra la concretezza delle cose e la speculazione pura. Un incessante sentirsi al centro del mondo, un ragionare di strutture e sovrastrutture, di politica e movimenti, di diritti e corpi e attraversamenti e specificità, che col vorticare progressivo perdono contatto con quel poco di vita vera che ci è concessa dal nostro ciclo di nascita crescita e morte.
Per questo trovare un topolino di campagna aggrappato alla mia scarpa prima di addormentarmi, cercare di ucciderlo prima, poi catturarlo e lasciarlo in campagna, mi sembra un gesto semplice e vero.

Come lasciarmi massacrare ogni pomeriggio, imparando i loro ritmi e l'esordio quotidiano sulla mia pelle, delle zanzare tigre.
Poi il freddo di un fiume gelato e asciugarsi al sole.
Gli amici di Antonio sono quasi tutti studenti o laureati in antropologia. Molti veronesi, alcuni sardi.
Vivono sparsi per le campagne senesi, in diversi casolari. Passano le sere cenando una volta da alcuni una volta da altri.
In questo periodo vendemmiano, vanno a letto presto. Vanno a letto presto comunque, dice sconsolato Antonio, che un po' di ritmo in più lo gradirebbe.
Nessuno di loro ha Facebook. Non gli serve, incredibile ma vero.
Una sera organizziamo una festa di laurea nel casolare dove stiamo. Arrivano tanti ragazzi e tante ragazze. Balliamo e beviamo fino a notte tarda. Ma nessuno fa foto, e nessuno il giorno dopo mi taggherà su facebook. Ci penso e mi sembra strano, quasi tornare indietro nel tempo. Così come mi stona l'idea che tornando a Roma non potrò aggiungere tra gli amici di social network nessuna delle belle ragazze che ho conosciuto.
Mi prende un'istantanea malinconia e un dolce fatalismo. Tutto è qui e ora, e va bene così.

Durante la festa mi accorgo di un'altra differenza rispetto alla metropoli. Non c'è la voracità sessuale delle serate alcooliche nei locali bui della città, non ci si studia con particolare desiderio. Le fidanzate sono realmente fidanzate, e non è una copertura in attesa di qualcosa di meglio, o di un grammo in più di autonomia notturna. Le single sembrano avere altri tempi.
Mi manca l'ambiente in cui so muovermi meglio, ma non so dire se sia meglio la nevrosi seduttiva di Roma o la calma placida, che un po' sa di rinuncia, di questo posto.
Un giorno vengo invitato a pranzo da Annalisa. La trovo nella casa nuova col compagno e il figlio di meno di un anno. Eugenio ha uno sguardo serio e curioso, ride poco ma quando lo fa illumina.
Nella familiarità di alcuni gesti di Annalisa viene in superficie il passato passato insieme.

Mi vengono da pensare due pensieri.
Il primo è che quando un rapporto finisce bene, quando se ne gestisce con rispetto il distacco, si salva tutto. E quando si salva tutto, negli anni rimane il sapore dolce della felicità vissuta, tanto importante nei momenti in cui lo sconforto porta a pensare quelle fesserie del genere “l'amore non esiste, e comunque finisce sempre male”. A volte invece, basta volersi bene davvero, finisce sì, ma splendidamente.

Il secondo pensiero che penso si ferma nella sensazione di sollievo che vedo osservando Annalisa col bimbo in braccio.
La vita scorre, la gente cresce, invecchia, mette al mondo figli. In un'altra epoca, in un altro luogo forse, questa cosa dovrebbe spaventarmi, farmi indietreggiare. Nel presente sospeso e infinito che viviamo noi giovani non più tanto giovani, è un sollievo sapere che la vita non si ferma, che oltre gli aperitivi e i lavori finiti presto e male alle due di notte, c'è qualcosa di più fondo e lucente.
L'ultima sera c'è un concerto di Brunori Sas alla festa di Sel. Decido di restare invece di partire nel pomeriggio, e il mio cambio di programma viene premiato.
Ci sono tutti, la mia vecchia Siena e i nuovi conosciuti n questi giorni.
Tutti bevono e sorridono. I vecchi conoscenti soprattutto. Gente come me che invece di partire è rimasta. Io che ho fatto un'altra scelta. Tante vite mie parallele che mi parlano e sorridono.

Non ci diciamo molto, non ci chiediamo molto. Ed è un conforto questo non insistere sul mistero della vita dell'altro, questo accettare che dieci anni non si recuperano in due battute.
Il cantante, che ha studiato anch'esso a Siena, canta la sua nostalgia di chi ha vissuto gli Ottanta da bambino, e persino pisciare dietro il laghetto del parco, intontito dall'alcool, mi sembra bellissimo.
I cigni del laghetto dormono composti. Sono uguali che da svegli, solo non si muovono. Come tante persone che a guardarli distratti saresti pronto a giurare che sono sveglie.
Il giorno dopo esco di casa per prendere il pullman per Roma, finalmente sono pronto a tornare. Nelle vigne di fronte al casolare degli uomini lavorano silenziosamente. La vendemmia, era solo questione di aspettare, come spesso accade.
Sul pullman, vicino al vetro che mi divide dalle colline che fuggono provo ad elencare gli animali che ho visto in questa settimana.
Insetti, falene, ragni, gatti, cani e un istrice enorme nella notte campestre. Cavalli, mucche, un fagiano che si alza in volo mentre osservo muto le vigne e quasi non mi prende un colpo. Scoiattoli, volpi, pesci. E naturalmente un topo. Il topo. Penso al topino di campagna aggrappato alla mia scarpa che mi guardava fisso. Ancora adesso non ho capito se quegli occhi bui significavano “Non andare” oppure “Portami con te”.
Per fortuna non l'ho preso quando ho tentato di schiacciarlo con una piantana di metallo.

1 commento:

Francesco Chiantese ha detto...

Perchè ha così pochi commenti questo post? Ho poco da dire, in realtà leggendolo, ma ci ho trovato dentro tante sensazioni che conosco, forse, vissute dall'altra parte. Forse, per me che adoro la città, accettare di vivere in un bilocale in mezzo ai boschi a 30 minuti dalla città, scoprendo da cosa nasce una zucchina, consolandomi dal freddo con le stufe a legna, e ritrovandosi a ballare una mazzurka con una volpe a notte fonda (successo ieri, giuro) è stato l'unico modo per accettare di rimanere a Siena. Non riesco a farci neppure teatro, a Siena, ne tantomeno pensando a lei mi nascono in mente dei progetti. E' ancora calda, credo, se la tocchi, ma è giù morta. Forse se ne sono andati tutti quelli che la tenevano in vita.