martedì 31 marzo 2009

Abusivismo Culturale (piccola marchetta disinteressata)


In un periodo in cui con fervore si perseguono tutte le clandestinità, tutte le alterità e gli abusivismi, in un insopprimibile odio nei confronti delle scale di grigio, dei distinguo rispetto al bianco e al nero, una realtà come il Rialto Sant’Ambrogio non poteva passare inosservato.
Per i bradipi non residenti a Capitol City, il Rialto è un centro sociale del terzo millennio, in cui c’è vera produzione di eventi artistici, musicali, teatrali (culturali, se po’ di’) e che da anni attrae centinaia di persone che, con l’occasione di feste e serate musicali di grande richiamo, fruiscono poi degli altri eventi. Nel pieno centro del ghetto ebraico di Roma in un palazzo prima occupato e poi concesso.
Nei giorni scorsi la struttura è stata colpita da provvedimento amministrativo, causa la somministrazione non autorizzata di bevande e rischia la chiusura. Mi rendo conto delle esigenze amministrative ma dopo lo sgombero dell’Angelo Mai di due anni fa (altro centro sociale nel centro della città eterna) sarebbe un colpo molto duro, soprattutto per le mie serate.
Per questo vi invito a leggere questo appello.


SONO ILLEGALE E SENZA LICENZA SOMMINISTRO CULTURA INDIPENDENTE

Evvero questa volta la questura, grazie ai potenti mezzi investigativi e a un blitz ben organizzato in collaborazione al
“personale delle unità cinofile, del reparto mobile della polizia di stato, del battaglione dei carabinieri, della polizia municipale e della asl”, ha trovato al rialto “delle lattine o bicchieri contenenti birra, e una sala attrezzata con strumenti idonei alla diffusione di musica”.
Evvero sono colpevole perché da oltre dieci anni impegno il mio tempo a sviluppare un luogo di democrazia sostanziale e di
partecipazione che si chiama Rialto sempre in bilico fra legalità e illegalità.
Confesso che il reato è associativo perchè dalla metà degli anni ottanta, in un contesto determinato dal riflusso e dall’arretramento, molti di noi h anno riconvertito la loro militanza politica in queste esperienze dando l’avvio ad una pratica di occupazione di edifici “improduttivi”. Così abbiamo occupato scuole, fabbriche, magazzini svuotati delle loro funzioni e li abbiamo riempiti di nuovi sensi e contenuti per costituire una tra le più importanti sacche di resistenza giovanile alla normalizzazione imperante: una parte della città rifunzionalizzata non da strategie economico-urbanistiche, ma grazie alla determinazione e alla creatività delle persone che la hanno rianimata dando vita ad una grossa fetta di cultura contemporanea a Roma. [...]


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