mercoledì 17 settembre 2008

Il rischio è il mio mestiere

Una vita senza rischio, così come una vita senza errore, non varrebbe la pena di essere vissuta.
Il rischio si annida dappertutto. Per dire, se esci con una tipa e decidi di provarci ti accolli un rischio. Potrebbe succedere che lei non ci stia o che magari le puzzi terribilmente l’alito.
Ma come si fa a prescindere da tutto questo? Evidentemente, nulla avrebbe senso.
Tutto sta nell’osservare meglio che si può le persone e le situazioni. E poi decidere.

Le recenti disavventure di tanti risparmiatori e di prestigiose istituzioni economiche e finanziarie possono essere lette con un’ottica simile.
La crisi dei subprime, che ha scatenato nei mesi scorsi il putiferio cui stiamo assistendo, nasce da una valutazione superficiale (quando non fraudolenta) del rischio, che ha visto negli istituti finanziari e creditizi il proprio anello debole. Anche se spesso ci lamentiamo di come le banche siano esigenti o esose nel concedere mutui o prestiti, bisogna ammettere che una corretta valutazione da parte del prestatore della capacità del debitore di restituire le risorse è fondamentale, non solo per il proprio interesse ma soprattutto per il sistema economico nel suo complesso. Questa valutazione è uno dei pochi strumenti per ridurre quella asimmetria informativa che inevitabilmente è presente tra questi due soggetti.
I subprime, in sostanza, sono mutui concessi a persone con dubbia affidabilità, gravati da altri debiti o con risorse proprie incerte. Per questo si caratterizzano con un alto profilo di rischio. Sono diffusi non a caso negli Stati Uniti, dove l’indebitamento medio pro-capite è molto più alto che in Italia e dove è normale indebitarsi non solo per finalità di investimento (casa, impresa, formazione) ma anche per il consumo. Questi prestiti sono inevitabilmente soggetti ad un interesse più alto ma questo rappresenta solo un aspetto della questione, laddove la valutazione sia correttamente impostata sul binomio rischio-rendimento.
A un certo punto di questa storia è entrato in scena l’opportunismo di qualcuno (ma non è una sola persona) che ha deciso, con una specie di gioco delle tre carte, di prendere questi prestiti ad alto rischio (o meglio i titoli che li rappresentano) e di diluirli all’interno di prodotti finanziari complessi, mischiandoli con altri e piazzandoli allegramente - come fossero normali titoli – a fondi d’investimento, fondi pensione, aziende e banche. Non appena un numero consistente di questi debitori deboli ha cominciato a non far fronte ai propri impegni (a non pagare la rata) il giochino è finito e la giostra finanziaria si è trasformata in un ottovolante impazzito.
La diffusione di queste piccole cellule cancerogene è stata talmente capillare da minacciare grandi banche, grandi fondi e da tenere in grande apprensione il sistema economico mondiale, già alle prese con una potenziale recessione. Anche l’intervento coordinato e imponente delle banche centrali di UE, USA, UK, Giappone è servito solo ad alleviare la crisi, evitando che avesse effetti immediati e deflagranti già dalla scorsa estate.
Northern Rock, la recente nazionalizzazione di Freddie Mac e Fannie Mae da parte del governo americano, fino ad arrivare al fallimento di Lehman Brothers, alla vendita di Merryl Lynch e ai crolli di borsa sono effetti diretti e indiretti di errori nella valutazione dei rischi.

Ma in tutto questo ho pensato in questi giorni ad un aspetto apparentemente secondario. Pensate allo sconforto delle migliaia di persone licenziate per il crollo di Lehman Bros (seimila solo in Europa). Prendetene uno qualsiasi: era convinto di essere al sicuro, di essere in rampa di lancio verso una carriera di primo piano, una vita di successo. Cominciava a sentirsi ricco (o sperava di diventarlo a breve) e conseguentemente spendeva. Arrivato si sentiva.
Chissà cosa avrà pensato mentre raccoglieva le sue piccole cianfrusaglie dalla scrivania.

5 commenti:

Cipputi ha detto...

Avrà pensato alla follia di un sistema che a turno distribuisce cetrioli di questo tipo?
Quello che mi chiedo è perchè anche di fronte alla nazionalizzazione forzata di grandi banche da parte del governo Usa (come chiedere a Castro di sponsorizzare la coca-cola), ci si ostini a chiudere gli occhi e a fidarsi ciecamente del capitalismo finanziario come unica forma di organizzazione economica possibile.
Insomma, non dico di passare al comunismo... ma ripensare qualcosina, no, eh?
No, nooo per carità, questa è l'unica via possibile... anche se ci porta dritti dritti nel burrone.

Anonimo ha detto...

un'analisi interessante

http://www.ft.com/cms/s/0/dd9aa390-84d6-11dd-b148-0000779fd18c.html?nclick_check=1

brad

Anonimo ha detto...

molto più interessante ;-)

http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/economia/borse-7/scatola-broker/scatola-broker.html

(Vittorio Zucconi, Repubblica, oggi)

Cipputi ha detto...

Il pezzo di Zucconi linkato nel post di sopra è bellissimo e spietato.

E mi fa continuare a pensare: "Possibile che anche questa volta ci racconteremo la favola della crisi passeggerà e non cambieremo una virgola nel nostro sistema economico?"
Si, si, possibile purtroppo...
Tanto i guai succedono sempre agli altri, mica a noi.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu