lunedì 14 settembre 2009

Il barbiere di Chaplin VS Renato Brunetta


C'è un passaggio di un film che mi ossessiona.
Ne "Il grande dittatore", il barbiere interpretato da Chaplin ritorna nel suo quartiere dopo essere stato rinchiuso in un manicomio militare per alcuni anni.
All'epoca della partenza, i nazisti erano un gruppo di esagitati che faceva presa su ampie fasce del popolo. Dopo pochi anni, non solo sono al potere, ma hanno stravolto qualsiasi legge di convivenza democratica. Il barbiere non crede ai suoi occhi. Pensa di essere precipitato dentro a un incredibile scherzo, ma è l'unico intorno a non prendere sul serio le nuove condizioni di vita.
Chaplin usa lo stratagemma dell'assenza di alcuni anni per sostenere un concetto (il concetto che mi ossessiona): vivendo dentro una dittatura che cresce lentamente non si è in grado di distinguere lucidamente le contrazioni di libertà che la società subisce. E quando queste contrazioni ricevono un'impennata impressionante è quasi sempre troppo tardi.
Lo stesso stratagemma viene usato da Roberto Benigni in un famoso sketch del '94 in una trasmissione di Pippo Baudo.
"Sono stato fuori dall'italia per un anno. Ma poi che fine ha fatto quell'imprenditore televisivo lì, Berlusconi, l'amico di Craxi, che si era presentato alle elezioni?" Risposta: E' il nuovo presidente del Consiglio. Risata incredula di Benigni. E Giuliano Ferrara? Ministro ai rapporti col parlamento. Risata. E alla difesa chi ci hanno messo? Previti. Risata. E alla cultura? Sgarbi presidente della commissione cultura. Ma chi, quello che sta sempre in tv a dire parolacce come un indemoniato ? "Dai, Pippo, non scherzare!"

E' la capacità di far passare come ragionevoli affermazioni tabù per una democrazia, che fa di questo governo, in questa fase storica, qualcosa di molto allarmante.
La Gelmini dice: "I professori che fanno politica via dalla scuola!". Sembra un'affermazione degna di dibattito. Ma non lo è. La repubblica nata dalle ceneri del fascismo poneva non a caso tra i diritti inalienabili del cittadino quello all'attività politica. Non a caso, proprio perché per vent'anni questa fondamentale libertà era stata negata a chiunque non si professasse fascista (ed è l'accusa che spesso i liberarli italiani muovono al regime di Castro e al partito unico comunista).
Quando Brunetta con gli occhi spiritati agita il dito e insulta i lavoratori della cultura e li invita a normalizzarsi, altrimenti "Bondi chiude il rubinetto dei finanziamenti", quando lo stesso Brunetta parla di parassiti, ponendo a metro di lavoro serio quello dell'impiegato (come Stalin faceva con il mito dell'operaio), evoca il furore fascista contro la libertà della cultura.
E gli ignoranti in divisa nazista che bruciavano i libri rei di diffondere idee contrarie alle loro.
E però Brunetta sembra ragionevole. Gli sprechi ci sono, è ora di farla finita con i profittatori.
Ma Brunetta non è ragionevole. Esprime il potere che esterna con ferocia una visione della cultura inammissibile in qualsiasi democrazia avanzata: "I soldi per la cultura sono i nostri. Chi non fa la cultura che ci piace e come piace a noi, non avrà soldi, e può andare a mendicare".
Non si tratta di sprechi da tagliare. Si tratta di sprezzo dell'avversario, si tratta dell'uomo col bastone in mano che minaccia e deride chi sta sotto.
A questo punto l'accellerazione improvvisa delle limitazioni di libertà (che si esprime sostanzialmente anche nei tagli all'istruzione e nella demagogia dell'odio razziale e omofobico) è alle porte. Forse è già iniziata.
Ma noi - ahimè - non siamo stati in un manicomio militare in tutti questi anni.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e