martedì 9 novembre 2010

A cosa siamo disposti, giovani?

Nei giorni scorsi sono circolati su internet, su facebook, sulla bacheche delle facoltà, sui muri delle città, insomma in tutti quei posti tipici di una campagna “virale”, degli strani annunci lavorativi che riportavano la scritta “Giovani disposti a tutto”, che avevano più o meno questo tenore:

«Gruppo finanziario cerca laureati con MBA disposti a fare il caffè e dog-sitting al proprio Capo».

Dopo qualche giorno e molta curiosità è apparso su quegli stessi annunci un cambiamento sostanziale del messaggio, perché il claim della campagna è diventato «Giovani NON + disposti a tutto».
Sicuramente una provocazione stimolante che prima o poi rivelerà la propria natura e i propri ideatori. Utile per qualche riflessione sul tema.

Negli ultimi anni siamo stati osservatori quasi-impotenti della vessazione di una generazione che, attraverso l’atomizzazione degli interessi lavorativi (di sopravvivenza morale e materiale, si potrebbe dire) ha portato all’estrema precarizzazione del lavoro, alla triste situazione di vedere contrapposte persone in una competizione animale, non basata sul valore del proprio lavoro bensì sulla disponibilità totale nei confronti dell’azienda o del datore di lavoro.

Io non sono pregiudizialmente contrario ai contratti atipici, ovvero non odio le leggi Treu e Biagi e non le considero l’origine del male, purché siano una modalità di entrata in azienda non un un continuo salto da un’azienda all’altra, in un vessatorio gioco dell’oca che spinge a ricominciare sempre da capo, senza avanzare nella professione. In questo modo si è depressa una generazione, affranta dall’impossibilità di immaginare un futuro con un minino di serenità e di aspettative sui propri diritti.

Ci sono degli aspetti punitivi nell’attuale sistema che vanno rimossi. Qualche giorno fa, parlando con una mia amica che si occupa di lavoro, sono venuto a sapere che i contributi previdenziali accumulati con i contratti atipici (la c.d. “gestione separata”) hanno valore solo se sono continuativi per un certo numero di anni (3 o 5 non ricordo), altrimenti non sono pienamente esigibili nel calcolo della pensione con il sistema “contributivo”. Se sei precario per due anni e poi ti stabilizzi, quei soldi è come se non li avessi versati. Da rimanere a bocca aperta.

Mi sono subito chiesto che fine facciano quei soldi. Finiranno nel calderone dell’INPS, probabilmente per pagare le attuali pensioni, quelle calcolate col sistema “retributivo”. Se così fosse ci troveremmo di fronte ad una situazione in cui tutti si giovano del lavoro precario: le aziende che hanno maggiori margini di flessibilità e non hanno praticamente obblighi nei confronti dei precari; gli enti previdenziali che ricevono il flusso corrente di questi contributi; i lavoratori stabili che si giovano del fatto che ci sia una serie B del lavoro da utilizzare come cuscinetto anti crisi. Tutti, tranne quelle persone che hanno un lavoro precario e che, come l’ortolano alle prese col cetriolo, se lo prendo immancabilmente nel c**o.

È evidente che una società non può punire in questo modo una così larga parte di popolazione, concentrata sulle generazioni più giovani. È uno scandalo, siamo tutti d’accordo.

Ma non basta essere tutti d’accordo. Per questo mi pongo un problema, di carattere intergenerazionale, partendo dalla questione dei contributi atipici.

Se questi contributi vanno all’INPS verosimilmente per pagare una (piccola?) parte delle pensioni attuali, ci troviamo di fronte al paradosso per cui i giovani regalano dei soldi ai propri nonni che ritornano loro sotto forma di regalo natalizio al nipote “che non riesce a sistemarsi”.

Riuscite a immaginare qualcosa di più fastidiosamente paternalistico?

E allora se le cose si dovessero mettere nei termini di una contrapposizione tra le risorse del welfare destinate alle nonne, ai nonni o ai genitori e quelle destinate ai figli (la maturità è anche ammettere che le risorse sono scarse), fino a che punto siamo disposti a lottare? Fino a che punto quindi siamo pronti a rinunciare all’unanimismo delle richieste fatte da giovani, vecchi, impiegati pubblici e impiegati privati, ricercatori e professori, tronisti e premi oscar?

http://www.nonpiu.it/

4 commenti:

fra ha detto...

“Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”.....
Queste sono state tempo fa le parole del presidente dell'INPS..
Censurate per garantire l'ordine pubblico!!
Che dire caro bradipo?
Chi non ha nonni e non sa manco a chi la sta pagando la pensione?! ;)

fra ha detto...

“Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”.
Queste sono state tempo fa le parole del presidente dell'INPS..
Censurate per garantire l'ordine pubblico!!
Che dire caro bradipo?
Chi non ha nonni e non sa manco a chi la sta pagando la pensione?! ;)

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
pablo ha detto...

una riflessione interessante Bradipo.
mentre leggevo aspettavo di trovare una considerazione sugli scenari futuri, ed e `qui che fra mi ha letto nel pensiero.
Allora mi chiedo: perché hanno sfasciato il sistema contributivo, se nella misura in cui i lavoratori sono piú dei pensionati,(e grazie a Dio questo e´ancora vero) questo sistema e`in equilibrio, e potrebbe garantire ancora per molti anni una stabiltá al sistema socio-economico che ci siamo dati?
Che lungimiranza hanno i nostri politici, se per forza di cose questo sistema e´destinato a implodere per la sua propria struttura?