
Quell’odore che riconosceresti fra mille si univa ai rintocchi del pendolo. E lei con il suo passo svelto, deciso ma tenero, con quelle ciabattine con la parte posteriore ripiegata in avanti, “percè su cchiù comote”, t’infilava furtivamente nella mano sinistra delle banconote che con un gesto repentino e insospettabile apparivano talvolta dalla manica sgualcita dove conservava il suo fazzoletto, dalle tasche ormai consumate del
damantile o più semplicemente dagli strati di maglie che si poggiavano sul suo petto. La frase di rito era la stessa per tutti: “quisti cu te ba catti nu gelatu” anche se eravamo in pieno inverno e con due pinguini attaccati alle caviglie. E poi quel gelato io me lo prendevo veramente! “Ce te possu dare beddhra mia?” incalzava…rifletteva…ed io trepidante aspettavo l’uscita di quella ciotolina, sempre la stessa, nella stessa credenza. Intravedo la carta dorata, metallizzata, che si rifletteva nei suoi occhi ormai stanchi. La mano sprofondava in quei piccoli mattoncini di cioccolata al latte o fondente, quelli inconfondili con la cupoletta e della misura giusta perché si sciogliessero fra il palato e la lingua. E andavi via con le tasche piene fino all’arrivo a casa, quando la mamma ti perquisiva stile servizi segreti, per centellinare quei deliziosi mattoncini in interminabili mesi. C’erano giorni invece che con amarezza quel luccichio di carte riflesso nei suoi occhi diventava diabolico, rossastro, lo avevo imparato a mie spese; i mattoncini si erano trasformati in cupolette più alte con all’interno ciliegina e liquore, di cioccolato fondente, rivestiti di rosso intenso. Li riponevo nella tasca ma solo per il principio secondo cui “ nu se lassa mai nienzi” e fra lo sguardo stupito della mamma -e anche un po’ deluso per non potermi ispezionare- li poggiavo sul tavolo dell’ingresso, bruscamente, spontaneamente. Quelli erano i cioccolatini dei grandi.
In queste occasioni in cui Lucifero s’impossessava dei suoi occhi, mi riversavo sulla ciotolina del salotto piena zeppa di caramelle alcune gialle, con un cuore dolcissimo di miele: le fantastiche caramelle ambrosoli; le seconde rosse con una forma rettangolare, le Rossana, buone ma soprattutto utili per giocare alla vista bionica, salvo poi ritrovarmi vicino lo specchio con un bozzo nella guancia destra e rudimentali occhiali con lenti rossastre.
Ed ancora tutto questo è nitido, come se fossi lì davanti a lei e lo è ogni volta che assaggio una di queste prelibatezze. Proust alla fine non ha detto nulla di nuovo. Questo Natale farò la scorta, certi momenti non si rivivono più o forse si possono rivivere all’infinito (fino a fine produzione, ovviamente).
lucyinthesky (lucì-dans-le-ciel)