lunedì 14 gennaio 2008

Commento non qualificato al concerto di Paolo Fresu


Doveva essere una serata di bella musica. E a mio parere lo è stata.
Forse le decine di persone che hanno abbandonato in anticipo la sala Santa Cecilia dell’Auditorium farebbero fatica a concordare; ma si sbagliano.

Piccolo passo indietro. Domenica 13 gennaio. All’Auditorium Parco della Musica di Roma è in programma un concerto di Paolo Fresu dal titolo indicativo: Running. Un progetto multimediale (così recita il sottotitolo) durante il quale il trombettista si esibisce in tre diverse sale con tre delle formazioni jazz in cui ha espresso il proprio talento, grazie ai collegamenti audio-video ed altre diavolerie tecnologiche.
Il progetto è molto ambizioso e rischioso. Fresu appare in collegamento video mentre arriva in macchina e prosegue la serata eseguendo pezzi o parti di essi in una sala per poi spostarsi rapidamente in un'altra, spesso duettando con gli altri musicisti via etere.
La reazione del pubblico è di spaesamento. Molti non hanno gradiscono. Una signora accanto a me va via indignata gridando “vergogna!” per –a suo dire- la mancanza di rispetto nei confronti del pubblico. Altri si alzano non appena ci si rende conto che lo spettacolo andrà avanti così.
Lui arriva, suona con quel suo fare indifferente e con brevi suoni dello strumento, aiutandosi con un campionatore e limitandosi quasi ad accompagnare gli altri musicisti.
E qui è la grandezza dell’idea.
Non il concerto di un’inguaribile prima donna ma un “concerto”, fatto da artisti di spessore. Un concerto corale in cui hanno grande risalto i tre contrabbassi (eccezionale il duetto di Furio Di Castri e Ares Tavolazzi, accompagnati dalle batterie in video), in cui tutti hanno modo di carpire l’attenzione del pubblico in sala e di ricambiare con l’energia della musica. Non so se questo effetto ensamble sia voluto o è piuttosto frutto di un errore di valutazione. Chi va via si sente frodato perché pensava di assistere ad un concerto di Fresu e si sente invece trascurato dal piccolo trombettista errante, in viaggio tra la sala Sinopoli, la Santa Cecilia e la Petrassi.
Chi è in sala ascolta i musicisti sul palco senza perdersi dietro alle movenze del solista ed ha –io ho avuto- l’impressione di gustare la musica per quello che rappresenta: puro abbandono sensoriale, un modo per pensare ai propri sogni e alla propria realtà con una colonna musicale ispirata.
Forse Fresu ha sottovalutato l’importanza della presenza fisica di un artista, la magia della contemporaneità che fa di un concerto (o di uno spettacolo teatrale) un’esperienza irripetibile. Forse ha indisposto una parte di pubblico poco abituata a stimoli multipli, alla multimedialità. O forse voleva così.
Ad ogni modo è stata una serata di bella musica

3 commenti:

Anonimo ha detto...

a volte 'sti artisti pensano troppo invece di suonare...

Anonimo ha detto...

L'idea era bella la realizzazione un pò confusa. Ma sarebbe stato comunque un bell'evento se Fresu avesse suonato come sa la tromba invece di giocare con gli effetti speciali...

Anonimo ha detto...

secondo me è un grande!!!
Lu Pianolista