lunedì 18 febbraio 2008

Appunti di viaggio / 2

È stato un fine settimana in trasferta piemontese. Come sempre impegnativo. Al ritorno però mi imbatto in una situazione molto italiana, molto meridionale, molto torinese. Mi trovo nello scompartimento con quattro arzilli vecchietti accomunati da una situazione simile. Affrontano ancora una volta il viaggio nord-sud (fino a 17 ore) per partecipare al funerale di un parente, in due paese diversi di Basilicata e Calabria.

[nel momento in cui scrivo mi stanno coinvolgendo nella discussione, scusandosi di aver intrapreso la discussione ad Alessandria e di averla portata avanti ininterrottamente fino a Grosseto (ma la strada per Roma è ancora lunga). Chiedono di me ma io preferisco dare poche coordinate e continuare ad ascoltarli]

I signori calabresi, di Trebisacce (CS), raccontano le loro storie come solo in treno sembra possibile fare. Parlano della Svizzera, dell’Olanda, del Piemonte e della volonta di tornare al paese «dove abbiamo una casa al mare con un terrazzo meraviglioso».
- «Se era per me dopo la pensione tornavo al paese. Mia moglie invece…»
- «Ma a Torino ci sono i figli, i nipoti. La nostra casa è lì.»
- «La verità signora è che sappiamo dove nasciamo ma non dove moriremo»

La signora più anziana, potentina di CampoMaggiore (PZ) ma ad Alessandria da quarantasette anni, viaggia con la sorella anche lei, sua vicina di casa. Gli altri fratelli sono a Milano e in Canada (anzi in Canadà). Parla un dialetto spurio, una specie di esperanto. Come i soldati in trincea durante la prima guerra mondiale. Racconta storie commoventi nella sua lingua simpatica, storie di tanti figli e di mille nipoti; storie di difficoltà e di molto lavoro, storie di nipoti cresciuti perché senza madre e fatti di paese. Ad un certo punto parla del suo ultimo nipote, un bambinetto di sedici mesi, grosso che dimostra almeno tre anni, che corre per la casa e la fa ridere, anche se non si capisce quando parla. Per un attimo ho anche pensato che fosse la nonna di Aloisiopolemicacone…

Queste sette ore di viaggio potrebbero far parte di un documentario di Zavattini, di Ugo Gregoretti. Tutto parla di un paese incredibile, speranzoso nonostante tutto.
Le valigie i treni la famiglia il paese l’orto i pomodori le galline i conigli il maiale la soppressata la fabbrica i turni i piemontesi i signori l’impresa le gru i marrocchini i figli i nipoti i giovani d’oggi.

6 commenti:

Cipputi ha detto...

In altre parole...
YES WE CAN

bradiponevrotico ha detto...

a cazzaroooooo

Unknown ha detto...

Ricordo, immagino, comprendo.

Anonimo ha detto...

il treno è un pluriluogo di quotidiana eccezionalità.

un luogo proprio da "iesuìchen", da yes week-end.
per questo forse il candidato premier veltroni avrebbe potuto impostare la sua campagna con spostamenti su rotaia: comprare una serie di biglietti kilometrici, chili di prenotazioni in cuccette da 6 con viaggiatori senza scarpe nelle notti da nord a sud, tagliandi di viaggio sui treni dei pendolari, comparsate a "il treno dei desideri" (trasmissione della Clerici) etc

treno, io ti amo.
Chissà quanti km ha accumulato ciascuno di noi migranti pendolanti viaggiatori. però che tristezza sentirsi chiamare "clienti" negli annunci in stazione: che condizione mediocre, standardizzata, quieta!

Viaggiatori. Clienti.
Anche in treno c'è qualcosa che non va.

Cipputi ha detto...

...... Raccuiottu....
Mi togli le parole di bocca!

Anonimo ha detto...

pensavo questo: racconti di treno...un genere.