martedì 5 febbraio 2008

Viaggi Domenicali


A un certo punto della strada –mentre hai ancora negli occhi le colline gialle, verdi o marroni - superata una fila di case a schiera fintamente popolari e un cartello “Taverne”, ci si imbatte nel lontano profilo di Siena, sempre uguale e raffinato, armonico ma conflittuale nella contrapposizione tra la civica torre e il beghino campanile. In quel momento già s’avverte il profumo della piazza umida e il vociare tranquillo.

Cor Magis Tibi Sena Pandit (Siena ti apre un cuore più grande). Non penso che questa frase sia mai stata vera. Pura retorica, ancor più perché posizionata su Porta Camollìa, porta della città verso il nord, in direzione Firenze. Fuori luogo per chi sperimenta tutti i giorni la sua chiusura. Eppure commovente nel suo essere falsa, come spesso capita alle espressioni romantiche.
Siena colta e piena di sé, che tanto ha da insegnare alle altre città e con soddisfazione sfoggia una obiettiva eccezionalità. Eppure sempre così diffidente verso l’esterno.
Per me Siena non può prescindere dai senesi ma contemporaneamente li travalica, li rende una delle componenti. Importante ma di certo non esclusiva.
Per me una città di scoperte umane, di libertà, di amicizie importanti e amori, di noia e risentimento, di ammirazione e commiserazione.
Anche in una festa a base di rock studentesco puoi sentirti presente e partecipe. Ecco, il senso della città è nella sensazione di sentirsi protagonisti di un racconto collettivo, marginalissimo ma significativo. Mentre a Roma ci si sente spettatori paganti di un grande spettacolo visto da lontano.Non è un caso che ci torni così spesso anche se, come dice chi la conosce bene, «dopo due giorni mi sento male»

1 commento:

Anonimo ha detto...

che palle sta siena!